Democrazia e Cristianesimo

C’è un nesso tra democrazia e cristianesimo? E qual è? Secondo Jacques Maritain, che viene considerato il maggior pensatore cristiano della democrazia, l’ideale  democratico è “il nome profano dell’ideale cristiano” (1), “la democrazia porta in un fragile vascello la speranza terrena, si potrebbe dire la speranza biologica dell’umanità.” (2) In altri termini, la democrazia, sul piano dei valori e, dunque, della tutela dei diritti della persona, è una sorta di incarnazione politica del cristianesimo. A questa tesi, che è diventata maggioritaria nel cattolicesimo dalla metà del Novecento in poi, tanto da fornire una giustificazione o, se si vuole, un alibi ai partiti cosiddetti democratici cristiani, possiamo opporre due obiezioni. La prima è che “la parola democrazia che era nata sette secoli prima in Grecia, non una volta è usata nel Vangelo e l’unica volta che nel Vangelo è applicata la democrazia, il popolo manda in croce Cristo e libera Barabba sicché, secondo l’etica democratica, dovremmo osannare Barabba e condannare Cristo.” (3) La seconda è che la democrazia non garantisce inequivocabilmente i valori cui si ispira il cristianesimo, perché per natura è equidistante da tutti i valori, religiosi o no che siano.  

E a questo punto possiamo chiederci: la democrazia, in particolare nella sua forma rappresentativa, è la miglior forma di governo? E, soprattutto, è applicabile a tutti i popoli, in tutti i luoghi e in tutti i tempi? L’ingenuità, il pregiudizio ideologico, l’interesse di parte fanno propendere per il sì. In linea di fatto, però, va osservato che ci sono regimi democratici screditati e regimi autoritari circondati dal consenso popolare. Né mancano esempi di democrazie che non hanno mai cambiato uomini di governo e classi dirigenti, malgrado che il passar del tempo e il buon gusto lo esigano.

La questione, d’altra parte, non può risolversi opponendo astrattamente libertà ed autorità, come giustamente avvertiva il filosofo dell’attualismo, bensì concretamente, “con criteri storici fondati su considerazioni di opportunità secondo il variare delle contingenze storiche.” (4)

Ma è possibile la democrazia?

I maestri del pensiero sociologico, da Pareto a Mosca, lo negano. Essi osservano che non c’è società che non sia nel contempo gerarchia, potere, unità dinamica di una minoranza che governa e di una massa che viene governata. E soggiungono che la democrazia è una pura costruzione intellettuale basata su idee astratte come libertà, giustizia, eguaglianza, anziché su una profonda conoscenza degli uomini e delle cose. La democrazia, essi riassumono, è una maschera. Sulla stessa linea si pone Massimo Fini, per il quale “la democrazia rappresentativa, la liberaldemocrazia, la democrazia reale, quella che concretamente viviamo, è una parodia, una finzione, un imbroglio, una truffa”; è  “un sistema di minoranze organizzate, di oligarchie, politiche ed economiche fra loro strettamente intrecciate, legate spesso a organizzazioni criminali”. (5) Anche a non voler prestare credito al pensiero sociologico “elitista”, non si può ragionevolmente disconoscere quel che la sociologia ha dimostrato, vale a dire che ogni movimento, sia esso politico o religioso e finanche individuale come la nascita d’un amore o un’ispirazione artistica, va incontro inevitabilmente ad un processo involutivo, si irrigidisce, si fa istituzione. Scrive il sociologo Francesco Alberoni: “il movimento ha inizio con una scoperta, una rivelazione, una nuova prospettiva sulla realtà… fino a diventare dottrina, ideologia, mentre prima, all’inizio, era soltanto uno sguardo commosso, vibrante, l’intuizione sconvolgente che il mondo poteva essere modificato, che la felicità, per sé e per gli altri, era raggiungibile.” (6) Sennonché la spinta iniziale a poco a poco si degrada, dà luogo alla ripetizione, alla quotidianità, all’istituzione che finisce col negare il moto che l’ha generata. Anche il movimento democratico, ammesso e non concesso che inizialmente non sia un’oligarchia, si trasforma in oligarchia col passare del tempo.  E il filosofo spagnolo Ortega y Gasset, ravvisando nel metodo delle generazioni che si succedono la ragione fondamentale dei cambiamenti storici, osserva, a mo’ d’esempio, che “non possono avere la stessa esperienza della democrazia la generazione che l’inaugura e quella che viene dopo.” (7)

I difensori della democrazia, tuttavia, sostengono la superiorità dei regimi democratici rispetto ad altre possibili forme di governo facendo riferimento a quel meccanismo di legittimazione del potere che è il voto. E’ un meccanismo piuttosto semplice per captare la volontà popolare, benché sia basato su un assioma matematico (uno vale uno) e non sulle competenze, sulle inclinazioni, sulle necessarie differenziazioni che ci sono tra gli uomini. Si potrebbe sorridere alla battuta di Céline: “ho sempre saputo e compreso che gli imbecilli costituiscono la maggioranza e, quindi, è fuori discussione che vincano le elezioni!” (8) Sennonché può il numero, la maggioranza essere il criterio della verità, della giustizia, della ragione? Forse che non furono atti democratici la condanna a morte di Gesù e di Socrate? E che dire delle democrazie dove si reca alle urne solo il trenta per cento della popolazione? Addirittura si vorrebbe oggi in Italia dare il voto ai sedicenni, che sono ragazzi che sono ancora (fortunatamente) lontani mille miglia dai problemi di cercarsi un lavoro e devono ancora cominciare a farsi un’opinione sul mondo.  In ogni caso, il voto non sempre esprime la volontà popolare. La cronaca corrente ci avverte che il voto ha il suo prezzo, che non di rado il voto è merce di scambio. Scrive Massimo Fini:  “gli apparati dei partiti prima scelgono i candidati e poi, facendo blocco, anche gli eletti… il voto di opinione, cioè quello veramente libero, non ha alcun peso rispetto a quello organizzato… Con le elezioni, falsate in partenza perché le minoranze organizzate prevalgono sulla maggioranza dei cittadini singolarmente presi, le oligarchie politiche si impadroniscono innanzitutto dello Stato e delle sue Istituzioni attraverso le quali esercitano un potere formalmente legale, ma sostanzialmente arbitrario”. (9) Anzi, a ben vedere, sostiene Fini, le oligarchie mascherate in cui consistono le democrazie, sono peggiori delle aristocrazie storiche: “Innanzitutto quelle erano dichiarate. In secondo luogo gli appartenenti alle aristocrazie vere e proprie dovevano possedere delle qualità specifiche e ottemperare ad alcuni, e precisi, obblighi. Per limitarci al feudalesimo europeo, il nobile è colui che sa portare le armi, che deve difendere il territorio e amministrare giustizia nel proprio feudo. Le aristocrazie mascherate, le oligarchie democratiche non posseggono qualità specifiche, prepolitiche. La classe politica democratica è formata da persone che hanno come elemento di distinzione unicamente, e tautologicamente, quello di fare politica. La loro legittimazione è tutta interna al meccanismo politico che le ha prodotte. L’oligarca democratico è un uomo senza qualità.” (10) E conclude: “Il rito delle elezioni serve unicamente a legittimare le oligarchie, politiche ed economiche, a continuare a macinare in tutta tranquillità i propri interessi e i propri affari, a godere in santa pace dei propri privilegi, a danno della maggioranza della popolazione.” (11)

Va d’altra parte considerato che un conto è l’enunciazione dei diritti, un altro il loro effettivo esercizio,che si può fare uso dei diritti solo se si possiede denaro: “Cesare comprese – scrive Spengler – che in clima di democrazia, i diritti costituzionali senza denaro non sono nulla, mentre avendo denaro sono tutto.” (12) Ed ha senz’altro un fondamento di verità la sua osservazione che “democrazia significa perfetta identità tra denaro e potere politico”. (13) E’ forse un caso se le società industrialmente avanzate, che si fondano sul primato dell’economia, preferiscano le democrazie ad altre forme possibili?

In democrazia poi, si dice, tutte le libertà sono ammesse. Sennonché ammettere tutto, rinunciare ad una scelta dei valori nel segno del relativismo, significa di fatto vanificare le libertà, lasciare il campo alla forza e al conformismo. In concreto, poi, anche la democrazia privilegia certe libertà rispetto ad altre. Ma, se così è, non si comprende perché si debba riconoscere l’insuperabilità di quei regimi democratici che si fondano su talune libertà piuttosto che su altre. Tanto più che quelle libertà oltre una soglia divengono prevaricatrici e nefaste ed è necessario arginarle. La libertà di iniziativa economica, ad esempio, ha una sua validità, ma non può essere illimitata senza mettere in gioco valori di pari importanza dalla salvaguardia della natura vivente alla giustizia sociale.

Denunciando il totalitarismo degli oligopoli finanziari, del nuovo potere tecnocratico in Occidente, Marcello Veneziani scrive: “E’ indifferente che il potere fittizio resti ancorato ad un formalismo democratico parlamentaristico ed elettoralistico. L’importante è che il potere reale, economico e sociale, politico e culturale, sia detenuto nelle mani di questo dolce Leviatano. E che detenga di fatto il controllo della società, dei suoi sogni e dei suoi bisogni, e la direzione dei suoi orientamenti… il nuovo totalitarismo non ha necessità di manifestarsi con la frusta e gli stivali. Quel che resta come carattere sostanziale del totalitarismo è la riduzione dell’uomo a mezzo, a strumento, e l’elevazione del nichilismo a destinazione ultima, anzi a destino.” (14)

Il discorso sulla democrazia allora si sposta, anche per i cristiani, dalla democrazia in sé – che come insegna Pareto “è solo una possibilità di governo tra le altre” (15) – a quello sulle élite, sulla loro natura e sul loro modo di costituirsi ed affermarsi.

Sandro Marano

Note

1) citato in U. Lodovici, Secolarizzazione e democrazia in Jacques Maritain, p.4, (in rete);

2) J. Maritain, L’uomo e lo Stato, Marietti, 2003, p.60;

3) G. Auriti, Il paese dell’utopia, Solfanelli, 2018, pp. 35.6;

4) G. Gentile, Genesi e struttura della società, Le lettere, 1987, p.60;

5) M. Fini, Il ribelle dalla a alla z, Marsilio, 2014, p.48;

6) F. Alberoni, Genesi, Garzanti, 1995, pp. 17-18;

7) J. Ortega y Gasset, Intorno a Galileo, in Aurora della ragione storica, Sugarco, 1983, p. 69;

8)  L. F. Céline, Bagatelle per un massacro, Guanda, 1981, p.45;

9) M. Fini, op. cit., p.49;

10) M. Fini, op. cit., p. 51;

11) ibidem;

12) O. Spengler, Il tramonto dell’occidente, Longanesi, 1981, p. 1334;

13) O. Spengler, op. cit., p. 1369; la dimostrazione è data nell’intero paragrafo che va da p. 1328 a p. 1343;

14) M. Veneziani, Processo all’Occidente, Sugarco, 1990, pp. 72-3;

15) M. Veneziani, Il maestro disincantato, prefazione a Vilfredo Pareto. Borghesia, élites, fascismo, Giovanni Volpe editore, 1981, p. 56.

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