I vescovi dell’Italia meridionale che hanno partecipato al Concilio di Nicea II

I vescovi che hanno partecipato al Concilio di Nicea II provenivano dalle diocesi della Sicilia e della Calabria. Le Notitiae Episcopatum n. 3, datate dopo il 787 e prima dell’869, collocano la provincia di Sicilia al 39° posto nell’ordine delle sedi metropolitane del Patriarcato di Costantinopoli con 12 vescovadi sotto il metropolita di Siracusa; la provincia di Calabria occupava, invece, il 40° posto, con 9 vescovadi sotto il metropolita di Reggio:

«39. Provincia di Sicilia»

1. Metropoli di Siracusa

2. Il vescovo di Leontina

3. Il vescovo di Taormina

4. Il vescovo di Messina

5. Il vescovo di Tyndars

6. Il vescovo di Liparis

7. Il vescovo di Cefalù

8. Il vescovo di Therme

9. Il vescovo di Panormo

10. Il vescovo di Carina

11. Il vescovo di Lilyveo

12. Il vescovo di Trochaleo

13. Il vescovo di Meliti (isola).

«40. Provincia di Calabria»

1. Metropoli di Reggio

2. Il vescovo di Santa Ciriaca

3. Il vescovo di Squillace

4. Il vescovo di (Bothroto)

5. Il vescovo di Crotone

6. Il vescovo di Amanthia

7. Il vescovo di Turis

8. Il vescovo di Nicotera

9. Il vescovo di Tauriana

10. Il vescovo di (Tropea).

            Le Notitiae Episcopatuum n. 3 non menzionano il vescovado di Tropea nella provincia di Calabria; questo, però, già esisteva nell’VIII secolo, poiché è attestata la partecipazione del suo vescovo Teodoro al Concilio di Nicea II. Allo stesso modo il vescovado di Santa Ciriaca, citato al secondo posto nell’ordine dei vescovadi della provincia di Calabria, non è menzionato nelle Notitiae Episcopatuum posteriori al secolo IX, perché fu in seguito unito ad un altro vescovado. Al concilio di Nicea II ha partecipato anche Basilio vescovo di Nesi, ma questo vescovado non è citato tra le sedi vescovili delle provincie di Calabria e di Sicilia, poiché è identificato con il vescovado dell’isola di Lipari, della provincia di Sicilia. In conformità a questi dati raccolti dalla geografia ecclesiastica, al Concilio Niceno II hanno partecipato e firmato l’horos l’85% dei vescovi della Sicilia e il 65% dei vescovi della Calabria. Questa percentuale molto alta indica l’importanza attribuita alla partecipazione dei vescovi di quelle provincie al Concilio.

            Dalla provincia della Sicilia hanno partecipato: il presbitero Galatone (Platone), come vicario del metropolita Stefano di Siracusa, i vescovi Costantino di Leontina, Giovanni di Taormina, Gaudioso di Messina, Basilio di Lipari, Teodoro di Palermo, Costantino di Carina, Teofane di Lilibeo, Giovanni di Trocaleo, Basilio di Nissio dell’Isola Meliti, Teodoro di Catania e il diacono Epifanio della Chiesa di Catania come rappresentante dell’arcivescovo di Sardegna Tommaso. Della provincia di Calabria hanno partecipato Costantino, metropolita di Reggio e i vescovi Cristoforo di Santa Ciriaca, Teotimo di Crotone, Stefano di Vibo, Sergio di Nicotera, Teodoro di Tauriana, Teodoro di Tropea. I vescovi assenti della Calabria furono quelli di Cosenza, di Squillace, di Tempsa o di Turio; è probabile, però, che queste ultime due città in quel tempo fossero già distrutte.

            In nessun altro Concilio ecumenico si è verificata una tale partecipazione di vescovi dell’Italia meridionale; questo dimostra che in queste regioni vi era una forte sensibilità per il culto delle icone e per questa ragione, la testimonianza di questi vescovi fu giudicata necessaria e i loro interventi ebbero notevole influenza nel corso dei lavori sinodali.

            Dagli atti del Concilio è evidente che questo era stato preparato prima della sua convocazione e l’intera procedura delle discussioni conciliari ha seguito uno schema prestabilito. Ciò è chiaro dal fatto che, a metà circa della prima sessione, Costantino, notaio del patriarcato, dichiara:

“Secondo l’ordine di vostra santità abbiamo portato, tra quelli che si trovano nella biblioteca del venerabile patriarcato di Costantinopoli, i sacri libri dei canoni dei santi apostoli e dei santi concili, del nostro santo padre Basilio e degli altri santi padri”.

            Tarasio ha fatto cercare e mettere insieme i testimonia favorevoli alla sua linea di comportamento, ed ha disposto di presentare a Nicea i codici stessi delle opere da cui citare. Per tale motivo il patriarca di Costantinopoli Tarasio, aveva attribuito importanza a quei vescovi, presbiteri e monaci competenti dal punto di vista patristico, canonico e teologico, i quali avevano preparato il necessario materiale di discussione, messo a disposizione dei partecipanti al Concilio. Da ciò si evince non solo la perfetta preparazione del materiale di studio, ma anche la precisa distribuzione dei ruoli dei membri conciliari. Costoro, infatti, si erano impegnati a trattare specifici temi secondo precise direttive. L’aiuto prestato al presidente del Sinodo non fu certamente casuale. In questo contesto bisogna comprendere ed interpretare la presenza e il contributo dei vescovi dell’Italia meridionale al Concilio di Nicea II. Tra costoro vi era una distribuzione dei ruoli sulla base del loro prestigio personale, della loro preparazione teologica e soprattutto del loro operato nella difesa del culto delle icone. Ai vescovi della Sicilia, in particolare, furono affidati ruoli importanti, durante la procedura preparatoria e nello svolgimento del Concilio. Il loro compito principale fu prima di tutto uno sforzo filologico di ordinare le fonti ed ermeneutico di procurare la prova della tradizione.

            Sicuramente scelti dal patriarca Tarasio per la loro preparazione teologica e canonica, il vescovo di Catania Teodoro e il suo diacono Epifanio, topoteretos, vicario dell’arcivescovo di Sardegna, Tommaso, si sono occupati della convocazione del Concilio, della fase preparatoria dei lavori e dell’intera programmazione. La loro scelta fu determinata anche dal fatto che si erano distinti nella lotta a sostegno del culto delle icone sia in Oriente che in Occidente e pertanto rappresentavano in modo degno la fede delle Chiese dell’Italia meridionale. Durante le consultazioni tra Roma e Costantinopoli per la convocazione del Concilio, gli imperatori Costantino e Irene inviarono una lettera al papa Adriano, nella quale è nominato il vescovo Costantino di Leontina in Sicilia, persona nota al papa, il quale era stato incaricato di trattare con il pontefice le modalità per l’organizzazione del sinodo ecumenico.

            Probabilmente, però, mentre si recava da Costantinopoli in Sicilia, il vescovo Costantino si ammalò e non poté compiere la sua funzione di ambasciatore, dal momento che papa Adriano non lo menziona nella sua risposta alla corte di Bisanzio. Anche il patriarca Tarasio aveva incaricato il suo presbitero e apocrisario, Leone, di portare la sua lettera a Roma. Al suo arrivo in Sicilia, Leone fu ricevuto dal governatore dell’isola e fu accompagnato da Teodoro di Catania e dal suo diacono Epifanio, i quali, godendo del favore di alcuni ambienti monastici iconofili di Roma, sostituirono il vescovo Costantino di Leontina nella consegna della jussio imperiale al papa.

            La loro scelta per compiere questa delicata missione fu sicuramente dettata dal governatore bizantino di Sicilia, il quale ben conosceva persone e realtà dell’Italia meridionale. Tutto questo lo si evince dagli atti del Concilio quando, nella seconda sessione al termine della lettura della lettera di papa Adriano agli imperatori, Tarasio chiese una conferma sull’autenticità della lettera: i rappresentanti del papa affermarono di averla ricevuta direttamente dalle mani del pontefice. La loro testimonianza fu confermata dagli interventi del legato degli imperatori Giovanni, magnifico logoteta, e da Teodoro, vescovo di Catania.

            Di grande interesse il ruolo svolto dal diacono Epifanio per la confutazione dell’horos del Concilio di Hieria nell’intera sesta sessione, che rappresenta il punto centrale del niceno II. Fu scelto Gregorio tra i vescovi iconoclasti riconciliati, poiché ritenuto persona di primo piano di quel Concilio con l’incarico di leggere per esteso la dichiarazione finale del conciliabolo a testimonianza dell’autenticità di quello che leggeva ed Epifanio, che ne confutava i contenuti punto per punto. È possibile che sia stato lui il redattore di queste confutazioni?

            È interessante, inoltre, sottolineare il discorso conclusivo del Concilio, il logos enkomiastikos pronunciato da Epifanio in Santa Sofia di Nicea, in cui mette in guardia il patriarca Tarasio su quello che poi di fatto è accaduto dopo il Concilio: «Previeni gli assalti delle belve, sbarra loro il passo con la tua sapienza». Il qualificato diacono sapeva bene che il Concilio non avrebbe scritto la parola fine all’eresia iconoclasta poiché le intenzioni dei vescovi non erano concordi. Epifanio termina il suo discorso solenne con lodi alla definizione del Concilio mostrando, nella sua orazione, di essere un personaggio stimato, degno di completare l’importante momento.

            È immaginabile che tra l’interruzione della prima convocazione del Concilio, il 1° agosto 786 nella Basilica dei Santi Apostoli a Costantinopoli, e la ripresa il 24 settembre 787 nella Cattedrale di Santa Sofia a Nicea, nel momento in cui i padri conciliari fuggirono rifugiandosi in molti in Sicilia, si organizzò nell’isola più o meno ufficialmente una specie di commissione preparatoria dove fu coordinatore il vescovo Teodoro e l’estensore il suo ingegnoso diacono Epifanio. Per cui è ammissibile supporre che ci sia stato un momento organizzativo, una schematizzazione conciliare a Costantinopoli prima di agosto 786 e in Sicilia prima di settembre 787. È possibile anche che nella pausa tra la sesta e la settima sessione, nella settimana dal 7 al 12 ottobre, Epifanio abbia ritoccato la stesura della dichiarazione solenne per la settima sessione il 13 ottobre.

Epifanio lo si avverte come una persona validissima che esercita un influsso determinante su tutta la linea d’azione e di condotta del Concilio, incarico unanimemente riconosciuto.

            La riuscita della missione dei vescovi dell’Italia meridionale, per l’attuazione del Concilio ecumenico, sicuramente aumentò il loro prestigio ecclesiastico, a tal punto che il vescovo Teodoro di Catania e il suo diacono Epifanio ebbero un ruolo di guida tra i vescovi dell’Italia meridionale.

Dopo la celebrazione del Concilio di Nicea II, il patriarca Tarasio inviò una lettera a tutti i vescovi della Sicilia, riuniti in un Sinodo locale, che celebravano annualmente per decidere sugli affari ecclesiastici che si presentavano in tutta la loro provincia, invitandoli all’applicazione delle decisioni conciliari, a rispettare l’antica tradizione della Santa Chiesa Cattolica di Dio circa le icone venerabili e a sottoporre a scomunica gli eretici, definiti dal Concilio accusatori dei cristiani e iconoclasti.

Antonio Calisi

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