La Tuttasanta “profuga” da Sumelà

Il nuovo Santuario della Panaghia (Tuttasanta) di Soumelà che si trova nella regione della Macedonia Occidentale, merita oggi attenzione sia per la sua storia, sia perché connessa in qualche modo ai tristi eventi relativi alla nuova trasformazione in moschea di Santa Sofia in Costantinopoli da parte del governo turco.

Per raggiungere il nuovo Santuario è necessario immettersi sull’autostrada Egnatia che collega Igoumenitsa con Salonicco o viceversa. Chi dovesse partire da Salonicco dovrà prendere l’uscita per Veroia. Da questa uscita autostradale il percorso non è molto tortuoso e con pochi tornanti a differenza di chi invece provenendo da Igoumenitsa affronterà circa 25 km di curve prevalentemente in salita.

Il Santuario è immerso nel verde e su un’altura che richiama i paesaggi del Ponto (regione del nord dell’odierna Turchia bagnata dal mar Nero) con il quale, come vedrete, è strettamente legato.

Infatti, proprio nel Ponto, e precisamente nelle vicinanze di Trebisonda, nel 386 d.C. due monaci ateniesi Barnaba e Sofronio, al secolo Basilio e Sotirchos, si sono recati in seguito ad una indicazione della Madre di Dio. Saliti sulla parete rocciosa del monte Melà, in una grotta a 1063 metri di altezza i due monaci hanno costruito le loro celle ed una chiesa proprio dove miracolosamente è apparsa loro l’icona della Tuttasanta scritta, secondo la tradizione, dall’evangelista Luca. Da allora questa Madonna viene chiamata Panaghia (Tuttasanta) di Sumelà (εις-του-Μελά, ovvero del Melà). Altrettanto prodigiosamente da una parete rocciosa di granito è sgorgata l’acqua miracolosa della quale il monastero si è servito e si serve e che ha reso il luogo meta di pellegrinaggio non solo da parte dei cristiani ma anche dei musulmani.

Nel tempo intorno alla chiesa e al monastero sono sorte altre costruzioni, luoghi di culto ed accoglienza per la moltitudine di pellegrini, e tutto ciò fino al 1860.

Il luogo, è stato più volte assaltato e depredato di ogni ricchezza tant’è che nel 644, in seguito a devastazione è stata necessaria la ricostruzione quasi totale della struttura monastica.

Quasi tutti gli imperatori bizantini ed i re di Trebisonda hanno lasciato segno del loro passaggio donando cimeli ed ogni genere di tesoro. Dal 1461 (anno della caduta di Trebisonda) e fino al 1922 il complesso ha costituito un punto di riferimento storico, culturale, spirituale e nazionale per l’ellenismo del Ponto che qui aveva radici da millenni.

Con lo sradicamento dell’ellenismo da parte dei turchi negli anni 1922-1924, e che secondo un censimento produsse 1.221.849 profughi, i monaci dovettero abbandonare tutto e quindi portarono via dal monastero l’Icona della Tuttasanta, un Vangelo manoscritto da san Cristoforo e la grande preziosa croce donata al monastero dal Re di Trebisonda Manuele Comneno, sotterrandoli nella chiesetta di santa Barbara. Nel 1931, ultimato lo scambio di popolazioni, il governo greco ottenne la possibilità per i monaci di recuperare i cimeli nascosti. P. Ambrosios Soumeliotis, uno dei due monaci superstiti, recuperò le tre reliquie e le consegnò a Chrisanthos Filippidis, ultimo vescovo di Trebisonda trasferitosi ad Atene. L’icona, il vangelo e la croce furono quindi esposti nel Museo Bizantino di Atene.

Tuttavia, la grande comunità del Ponto non gradiva affatto che l’icona della Tuttasanta finisse reclusa in un museo, quindi, nel 1950 cominciò l’operazione di recupero dell’icona alla venerazione del suo Popolo. Il paesino di Kastanià, a pochi chilometri da Veroia, nella regione della Macedonia Occidentale della Grecia, concesse 500 ettari di suolo per l’erezione del nuovo Santuario. Finalmente il 15 agosto del 1952 l’icona della Tuttasanta di Sumelà fu intronizzata nella sua nuova chiesa intorno alla quale, ora come allora, sono sorte altre opere.

Ma che fine ha fatto l’antico santuario, quello caduto e tuttora nelle mani dei turchi?

Il monastero e la chiesa hanno seguito la stessa sorte di Santa Sofia di Costantinopoli diventando musei per volontà di Mustafà Kemal Pasa, detto Ataturk, che aveva desiderato per la Turchia uno Stato laico. Il sogno di Ataturk, in realtà si è dimostrato molto lontano dalla realtà culturale e soprattutto religiosa del popolo turco. Le cronache provenienti dall’Asia minore ci dicono che il Presidente di quella repubblica, in realtà è più prossimo alla ricostituzione dell’Impero ottomano che non alla realizzazione di uno Stato come lo si intende da questa parte del mondo. Non passa inosservata, almeno su queste colonne, la chiamata di Erdogan a tutto il mondo islamico ad Istanbul, come non può passare inosservata la risposta dell’Islam che si è ritrovato riunito in preghiera nella capitale dell’Impero ottomano. Tantomeno può sottovalutarsi la politica espansionistica di Erdogan non solo onnipresente in Siria, Libia e dove ci siano tensioni; non solo occupante una parte di Cipro, ma anche avanzante richieste di rivisitazione dei trattati di pace con pretese sulle isole greche del Dodecaneso accompagnate da continue incursioni e sconfinamenti nello spazio aereo greco, ovvero dell’Unione Europea se ancora questa espressione può avere un qualche senso politico e non solo monetario.

Sta di fatto che la Turchia, ciononostante, aspiri anche ad entrare a far parte dell’Unione Europea ed è così che nel 2010, ad 88 anni dalla cacciata dei due ultimi monaci, al fine di dimostrare all’occidente un atteggiamento rispettoso delle minoranze religiose, il governo turco ha concesso al Patriarcato Ecumenico di poter celebrare una Divina Liturgia proprio in quella antica chiesa sul monte Melà. Da allora sono passati dieci anni e oggi, all’indomani della conversione in moschea della basilica di Santa Sofia di Costantinopoli e delle polemiche che sono seguite, il governo turco, nonostante i divieti di accesso per i lavori di consolidamento e per il Covid 19, ha nuovamente autorizzato le celebrazioni liturgiche per il prossimo 15 agosto. Questa comunicazione è però stata data dal Presidente Erdogan insieme all’annuncio della trasformazione in moschea di un’altra chiesa: la Basilica di Santa Sofia in Trebisonda.

Continua dunque la trasformazione in moschee delle chiese dell’Asia minore: dopo la Basilica di Santa Sofia in Costantinopoli e la Basilica di Santa Sofia di Nicea, sede del famoso Concilio, è giunta l’ora della Basilica di Santa Sofia di Trebisonda.

Paolo Scagliarini

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