Santa Sofia di Kleisoura

Viviamo il nostro tempo in maniera convulsa, frenetica, fino al punto di aver l’impressione che più si va avanti e più tale situazione diventi insopportabile, asfissiante. A cosa si deve questo fenomeno? Più avanzo negli anni e più penso che l’uomo sia sempre stato preso dal fare più che dal meditare o, se si vuole, dall’attendere alla sua natura spirituale. Arriviamo poi a lamentarci, specie in questa parte di mondo, che il tempo non basti mai e ciò per fare le cose che riteniamo necessarie all’esistenza e per farne di altre che vorremmo fare e non possiamo.  Certamente le necessità materiali, fisiche, sono quelle che immediatamente “mordono” la carne e per affrancarsi da questo stato di necessità, di “fame”, da sempre ci si è industriati piegando all’esigenza il mondo circostante, inventando strumenti, ricercando, studiando, perfezionando  ed applicando tecnologie sempre più sofisticate.

Ma anche la tecnologia, nella quale sono state riposte le migliori attese, in fin dei conti, dall’affrancarci dalla “fatica” e dal risparmio di tempo, ha finito con stressarci ancor di più, poiché una volta raggiunto l’agognato traguardo ne intravvediamo un altro più in là. Un semplice esempio. La realizzazione degli acquedotti ed il vantaggio di avere in casa l’acqua corrente, ha evitato che si perdessero ore per andare al pozzo a prenderne e che si dovessero avere in casa contenitori per la sua conservazione. Bene, anzi ottimo! Ma che fine ha fatto il tempo risparmiato grazie a questa conquista? Certamente è stato impiegato per fare altre cose che nel frattempo, a loro volta, sono diventate necessarie nel continuo evolversi dell’umanità. Un’umanità che è naturalmente protesa non verso il meglio, né verso l’ottimo, ma verso la perfezione che non ha a che fare col relativo bensì con l’assoluto. Già! La perfezione! Ma chi sarà l’uomo che raggiungerà la perfezione se ogni volta il traguardo si sposta in avanti? E chi riuscirà a beneficiare di essa?

Che l’umanità corra incontro alla realizzazione di un qualcosa che sfugge nel momento stesso in cui sembra raggiunto, è esperienza comune. Del resto, se ci pensiamo bene, è proprio questo stato di necessità, di mancanza, di attesa che crea e rende dinamico l’uomo e la sua economia: se tutto fosse disponibile a tutti, se tutti fossero appagati in tutto probabilmente non ci sarebbero più scambi di genere relazionale, neppure economico. In ogni caso, nel bel mezzo di questa frenesia del  fare materiale c’è qualcuno che sembra essersi fermato, sembra essere uscito dal vortice mentre tutto e tutti intorno continuano a correre nel senso sopra descritto. Qualcuno che pare abbia trovato quello stato di serenità ricercato, o meglio che insegue quella perfezione ultima, appagante, percorrendo altre strade che non sono quelle graduali, materiali e tecnologiche. Già, perché se lo spirito è appagato, la materia con i suoi morsi finisce per non avere alcuna attrattiva sull’uomo.

Questo qualcuno, in tutte le religioni e culture, ha sempre suscitato un certo fascino ed intorno a se un effetto vortice, attirando numerose persone. Ciò che più attrae di costoro è il fatto che abbiano trovato il loro appagamento nel momento in cui, apparentemente, hanno deciso di “non fare”, di vivere una dimensione altra, percorrendo una ricerca non tecnologica ma spirituale.

Mi riferisco ovviamente agli anacoreti, ai monaci, agli eremiti a coloro che apparentemente hanno voltato e spalle al “mondo” per gustare la vita che su questa terra ha solo un inizio, e che troverà altrove il suo completamento. È la scelta conseguente ad una visione platonica dell’esistenza che, nell’allegoria del mito della caverna, vede i viventi su questa terra incatenati al contingente, nel buio dell’immanente, che impedisce agli uomini di conoscere la realtà delle cose ed il loro fine ultimo.

Da sempre l’uomo per ricercare la verità, la perfezione, Dio, si è rifugiato nel silenzio, si è ritirato nel deserto, si è spogliato di tutto ciò che lo appesantisce, lo opprime, lo rende schiavo degli oggetti, delle false necessità, delle ombre, sinanche del proprio corpo che anzi viene volutamente mortificato nelle sue seppur naturali recriminazioni e tendenze; lontano dal caos del dover  fare é più vicino al dover essere, lì si è ritrovato nella verità, nella sua perfezione ontologica, nel suo giusto rapporto con le cose e con Dio, e quindi con i consimili.

Eccoli! Coloro che escono dalla caverna di Platone per guardare il cielo e le stelle per poi rientrare in essa e liberare i fratelli che invece sono intenti nel tirare a campare, o che sazi soffrono per le ferite purulente lasciate dalla fame spirituale. Coloro che fanno questa scelta di vita non sono uomini e donne appartenenti al trapassato remoto. Non sono uomini e donne da antico testamento. Ci sono tuttora. Sono in mezzo a noi e preghiamo ci siano sempre.

Mi piacerebbe a questo punto accennare ad una santa anacoreta, Sofia, della chiesa ortodossa ellenica, deceduta il 6 maggio 1974, canonizzata santa di recente e conosciuta come Sofia, asceta della Tuttasanta. Ho saputo di lei per caso entrando in un negozio di oggetti sacri nella città di Ptolemaida in Grecia. Dopo aver acquistato un evloghitarion, la signora dietro il bancone mi ha proposto un libro dedicato a questa santa. Incuriosito del fatto che fosse di quella terra l’ho comprato, letto e quindi mi sono recato nel luogo della sua vita terrena, al monastero della Kleisoura.

Rimandando alla vita di questa santa, riportata per brevi cenni, in altra parte di questo periodico, per restare in tema con quanto detto prima, mentre tra noi uomini del 2013 e coloro che hanno vissuto nel 300 c’è una differenza di vita mondana notevolissima, tra l’esperienza spirituale di santa Sofronia del 309 d.C. e quella di santa Sofia del 1970 non ci sono poi tante differenze. Entrambe si sono sottratte al mondo, entrambe sono state ricercate dal mondo. La prima si era ritirata sull’isola di San Pietro delle Isole Cheradi (all’epoca, IV sec., chiamate Pelagie)  al largo di Taranto; la seconda, dopo essere stata profuga dal Ponto, durante il genocidio turco di greci ed armeni, si è ritirata nel monastero di Kleisoura in Grecia. La prima si era costruita una capanna con rami e tronchi d’albero, la seconda ha vissuto sul fondo del caminetto di un monastero. Entrambe nutrivano il proprio spirito meditando sulle cose divine ed entrambe conducevano una vita che, per noi appare fatta di rinunce, sacrifici e penitenze e che invece per loro era piena di soddisfazione; entrambe hanno intrapreso ciò che San Basilio chiamava “esercizio che piace a Dio” e cioè l’ascesi, che richiede un cambiamento radicale delle abitudini della vita partendo dall’essere indifferenti alle preoccupazioni allontanando qualunque distrazione con un esercizio continuo “affinché non succeda che si espella il pensiero di Dio…con fantasmi di cose vane”; entrambe erano visitate dalle persone che erano alla ricerca di qualcosa.

Della vita di santa Sofronia non si sa tanto. Quelle arrivate a noi, sono per lo più storie ammantate di leggenda utile, non certo per attribuire falsità, quanto per esaltare le virtù proprie della santa.  Di santa Sofia, poiché santa contemporanea, al contrario, abbiamo tantissime testimonianze di persone ancora in vita. Di persone che andavano a chiedere consiglio e conforto. È davvero strano che ci si rivolga ad una persona fuori dal mondo per chiedere consiglio, eppure la fama di questa persona nascosta, si è diffusa a macchia d’olio così come aumentavano di volta in volta quelli che l’andavano a visitare per un consiglio, una preghiera.

Ci sarebbe da riformularsi l’evangelica domanda: cosa siete andati a vedere nel deserto, una canna sbattuta dal vento? Cosa andavano a vedere nel monastero di Kleisoura? Una donna che non si lavava e non si pettinava da decenni, da quando aveva lasciato il suo paese del Ponto, eppure profumava? Una donna che dormiva nella cenere del camino e che d’inverno non si copriva se non di foglie e fieno, pur avendo in dono vestiti e coperte che regalava ai bisognosi? Una donna che parlava con la Tuttasanta? Che consigli andavano a chiederle se neppure la capivano sino in fondo, dal momento che parlava pontiakà e cioè un greco che nei secoli si è impastato di turco ed altre lingue nel lontano Ponto?

Santa Sofia, l’asceta della Tuttasanta, è la conferma che, per quanto si possa nascondere dal mondo, la santità è ricercata poiché è in nuce in ciascuno di noi. Dimentichiamo spesso che la nostra immagine è quella di Dio… e la ritroviamo, insieme alla somiglianza, in queste persone. E’ il profumo di santità emanato da  queste persone ad attirarci.

Forse è proprio questo loro distacco dalla ghis, dalla terra, da tutte le cose mondane ad essere per noi garanzia di fede autentica e di vicinanza a Dio. Sarà anche questo che appaga gli anacoreti nella loro vita terrena: pregustano il paradiso già in questo mondo o ne alimentano l’attesa distaccandosene progressivamente con lo sguardo fisso verso il loro Creatore, Salvatore e Santificatore.

Cosa siete andati a vedere nel deserto, una canna sbattuta dal vento? Una cosa è certa,  quando incontriamo questi uomini cresce in noi la nostalgia per quel futuro che ci è stato preparato sin dall’inizio e che ci attende.

Paolo Scagliarini

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