Crisi istituzionale tra Stato e Chiesa in Armenia. Potrebbe funzionare la formula italiana?

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L’Armenia vive nel 2025 una delle più acute crisi istituzionali della sua storia moderna. Il conflitto tra il Primo Ministro Nikol Pashinyan e il Catholicos di tutti gli Armeni Karekin II ha raggiunto un punto di rottura senza precedenti, mettendo in discussione l’equilibrio secolare tra potere civile e autorità religiosa nella repubblica transcaucasica.

La controversia è esplosa pubblicamente quando Pashinyan ha accusato il Catholicos di aver violato il voto di celibato ecclesiastico, arrivando a chiedergli provocatoriamente “Hai un figlio?” in un confronto che ha scandalizzato l’opinione pubblica armena. Il Primo Ministro ha proposto la formazione di un gruppo di coordinamento per organizzare nuove elezioni per il Catholicosato e ha dichiarato di non riconoscere più Karekin II come legittimo patriarca.

Questa crisi non è improvvisa. I rapporti tra il governo di Pashinyan e la Chiesa Apostolica Armena si sono progressivamente deteriorati dal 2018, quando il leader della “Rivoluzione di velluto” è salito al potere. La Chiesa, guidata da Karekin II dal 1999, rappresenta uno dei pilastri identitari più solidi dell’Armenia, incarnando una tradizione millenaria che risale a San Gregorio l’Illuminatore.

Per comprendere la portata di questa crisi, è necessario inquadrare il ruolo peculiare della Chiesa Apostolica Armena. Fondata secondo la tradizione da San Gregorio l’Illuminatore nel 301 d.C., l’Armenia fu il primo regno al mondo ad adottare ufficialmente il cristianesimo come religione di stato. La Chiesa non è mai stata solo un’istituzione religiosa, ma il custode dell’identità nazionale armena attraverso secoli di dominazioni straniere, genocidi e dispersioni.

Durante la dominazione ottomana e poi sovietica, la Chiesa ha mantenuto viva la cultura armena quando le istituzioni politiche erano inesistenti o controllate da potenze straniere. Il Catholicos di Echmiadzin rappresentava non solo una guida spirituale, ma il simbolo morale di tutto il popolo armeno, sia in patria che nella diaspora mondiale.

Oggi, la Chiesa Apostolica Armena conta circa 9 milioni di fedeli nel mondo, con il 94% della popolazione armena che si identifica con questa confessione. Il Catholicos ha autorità su circa 50 diocesi distribuite tra l’Armenia e le comunità della diaspora globale, rendendo questa istituzione un attore transnazionale di primaria importanza.
L’esperienza italiana offre un termine di paragone significativo per comprendere come regolare i rapporti tra Stato e Chiesa in un contesto di forte tradizione religiosa. La storia dei concordati italiani è emblematica dell’evoluzione di questi rapporti dal Risorgimento ai giorni nostri.

Durante l’epoca degli antichi Stati preunitari, ogni entità politica della penisola aveva sviluppato rapporti specifici con la Chiesa Cattolica. Nel Regno di Sardegna-Piemonte, le Leggi Siccardi del 1850 abolirono alcuni privilegi ecclesiastici, mentre la legge Rattazzi del 1855 soppresse molti ordini religiosi, segnando una prima separazione tra sfera civile e religiosa sotto la guida illuminata di Camillo Benso di Cavour.

Il processo di unificazione italiana mise in crisi l’equilibrio tradizionale. La presa di Roma nel 1870 e la fine del potere temporale dei papi crearono la famosa “questione romana”, con Pio IX che si dichiarò “prigioniero in Vaticano” e rifiutò di riconoscere il nuovo stato unitario. La Legge delle Guarentigie del 1871 tentò unilateralmente di regolare i rapporti, ma il conflitto rimase irrisolto per oltre mezzo secolo.

La soluzione arrivò con i Patti Lateranensi del 1929, che riconoscevano la sovranità vaticana e regolavano numerosi aspetti della vita religiosa italiana. Tuttavia, questo accordo portava il segno del regime fascista e della sua concezione autoritaria dei rapporti istituzionali.
La vera svolta democratica arrivò con la revisione del Concordato nel 1984, firmata da Bettino Craxi e dal cardinale Agostino Casaroli. Il nuovo accordo stabilì il principio che “lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”, eliminando la definizione del cattolicesimo come “sola religione dello Stato italiano” e introducendo meccanismi più democratici nella gestione delle questioni ecclesiastiche.

Il confronto con l’esperienza italiana evidenzia le peculiarità del caso armeno. In Italia, la Chiesa cattolica ha accettato progressivamente la separazione dalla sfera politica diretta attraverso un dialogo istituzionale che ha portato a soluzioni condivise. In Armenia, invece, la situazione è più complessa per diversi fattori strutturali.
La Chiesa Apostolica Armena non ha mai cessato di considerarsi depositaria dell’identità nazionale, ruolo rafforzato dai drammi del XX secolo: il genocidio del 1915, la dispersione della diaspora, e più recentemente la perdita del Nagorno-Karabakh nel 2020. La costituzione armena, pur sancendo formalmente la separazione tra Stato e Chiesa, riconosce il “ruolo speciale” della Chiesa Apostolica nella vita spirituale del popolo armeno.
La crisi attuale rivela anche una profonda differenza generazionale e ideologica.

Pashinyan rappresenta una generazione di leader formati nell’epoca post-sovietica, orientati verso l’Occidente e meno legati alle tradizioni ecclesiastiche. Il suo governo ha cercato di modernizzare il paese secondo standard europei. Dall’altra parte, Karekin II e la gerarchia ecclesiastica incarnano una continuità storica millenaria e vedono con sospetto i tentativi di ridimensionare l’influenza della Chiesa nella società armena.

Un elemento che complica ulteriormente la situazione è il ruolo della diaspora armena mondiale. A differenza dell’Italia, dove la Chiesa cattolica ha una dimensione principalmente nazionale, la Chiesa Apostolica Armena ha una responsabilità transnazionale. Le comunità armene di Francia, Stati Uniti, Argentina, Libano guardano a Echmiadzin come al centro spirituale della loro identità, e molte voci della diaspora si sono levate contro gli attacchi di Pashinyan al Catholicos.

Di fronte a questa crisi, la storia italiana suggerisce una via d’uscita basata sul principio enunciato da Camillo Benso di Cavour: “libera Chiesa in libero Stato”. Questo motto, che ispirò le riforme del Regno di Sardegna e successivamente dell’Italia unita, potrebbe offrire un modello per l’Armenia contemporanea.

Il pensiero di Vincenzo Gioberti nel “Primato morale e civile degli Italiani” e le riflessioni di Cesare Balbo ne “Le Speranze d’Italia” forniscono un quadro concettuale prezioso. Gioberti, pur essendo un sacerdote, sosteneva che la Chiesa dovesse concentrarsi sulla sua missione spirituale, lasciando allo Stato la gestione della sfera temporale. Balbo vedeva nella collaborazione rispettosa tra autorità civili e religiose la chiave per il progresso della nazione.
Applicato al contesto armeno, questo principio significherebbe riconoscere alla Chiesa Apostolica il suo ruolo di custode dell’identità spirituale e culturale armena, garantendole piena autonomia nella sfera religiosa. Allo stesso tempo, lo Stato dovrebbe esercitare la propria sovranità nelle questioni temporali senza interferenze ecclesiastiche, ma sempre nel rispetto del ruolo storico e sociale della Chiesa.

Una soluzione duratura della crisi armena richiederebbe alcuni passi concreti ispirati all’esperienza italiana. La creazione di un tavolo di dialogo permanente tra rappresentanti del governo e della Chiesa, sul modello della Commissione paritetica prevista dal Concordato italiano del 1984, potrebbe affrontare le questioni controverse prima che degenerino in conflitti pubblici.

Una revisione condivisa della legislazione sui rapporti Stato-Chiesa dovrebbe chiarire definitivamente le competenze reciproche, ispirandosi al principio italiano dell’indipendenza e sovranità di ciascuna istituzione “nel proprio ordine”. Lo Stato dovrebbe astenersi dall’entrare nel merito di questioni disciplinari ecclesiastiche, così come la Chiesa dovrebbe evitare di assumere posizioni politiche dirette.
Infine, lo sviluppo di forme di collaborazione costruttiva in ambiti di interesse comune, come l’educazione, l’assistenza sociale e la preservazione del patrimonio culturale armeno, dimostrerebbe che Stato e Chiesa possono cooperare efficacemente quando rispettano i reciproci ruoli.

La crisi tra Pashinyan e Karekin II rappresenta un momento di svolta per l’Armenia moderna. Come l’Italia del Risorgimento, il paese caucasico si trova di fronte alla necessità di ridefinire l’equilibrio tra tradizione religiosa e modernità democratica. L’esperienza italiana, con i suoi errori e successi, offre lezioni preziose.
Il principio cavouriano della “libera Chiesa in libero Stato” non significa ostilità reciproca, ma riconoscimento della legittimità e dell’autonomia di ciascuna sfera. Come scriveva Gioberti, la vera grandezza di una nazione si misura dalla capacità delle sue istituzioni di collaborare nel rispetto delle reciproche prerogative. Le “Speranze d’Italia” di Balbo si fondavano proprio su questa visione di cooperazione rispettosa tra autorità civili e religiose.
L’Armenia ha l’opportunità di trasformare questa crisi in un’occasione di maturazione democratica. Il rispetto reciproco tra Stato e Chiesa, l’accettazione del pluralismo e il dialogo costruttivo possono garantire al paese un futuro di stabilità e progresso, preservando al contempo le radici profonde della sua identità millenaria. Come dimostra la storia italiana, non è necessario scegliere tra tradizione e modernità: è possibile, con saggezza e buona volontà, costruire un equilibrio che onori entrambe.

Carlo Coppola