Europei di calcio 1980, una cronaca da dimenticare e… dimenticata

Corre l’anno 1980, mese di giugno, quando un’Italia impotente a fronteggiare la minaccia terroristica e mafiosa, attraversata da scandali, sperperi e caos istituzionale, si accinge a vivere la VI Edizione dei Campionati Europei di Calcio per Nazioni.
Neanche il calcio è immune da scandali visto il recente Totonero cha ha sconquassato, a tutti i livelli, il football nostrano. Clamorosa la retrocessione di Milan e Lazio in B decretata dalla giustizia sportiva, la cui scure si è abbattuta su società, presidenti e calciatori, un vero e proprio esercito fra radiati e sospesi. Naturalmente, le solite legislazioni premiali all’italiana, specie per i fuoriclasse coinvolti, avranno un occhio di riguardo riducendone le condanne. Invece, per i mediocri, per i reietti, nessuna pietà. Il mondo antijuventino si scaglia contro l’assoluzione della Juventus i cui titolari compongono, quasi per intero, la formazione della Nazionale di Enzo Bearzot che ha ben figurato al Mundial argentino di due anni prima (avrebbe meritato ben più del quarto posto).
L’Italia, che fa parte del Gruppo B deve vedersela con Spagna (partita d’esordio al Meazza di Milano), Inghilterra e Belgio. Abbiamo la fortuna di vivere l’evento perché invitati a Milano da uno zio il cui nucleo familiare comprende due figli, quindi nostri cugini: uno coetaneo, moderatamene milanista, l’altro più grande, decisamente interista.
Giungiamo in treno, in un’assolata e accaldata domenica milanese, la sera dell’8 giugno. Notiamo che la Milano rossonera ha tappezzato di manifesti la città stigmatizzando i verdetti della giustizia sportiva sul Totonero:
“Tifosi Rossoneri, in questo tristissimo momento stringiamoci intorno al nostro Vecchio Milan la condanna che ci hanno inflitto…” e giù un torrente di paroloni.
Dopo i convenevoli saluti con gli zii che ci ospiteranno per una quindicina di giorni, Uccio, nostro cugino coetaneo, moderatamene milanista, ci conduce per strada, in un luogo dove troneggia il citato manifesto: lo defiggiamo e ce ne fa inaspettatamente dono. Forse è ancora conservato nei meandri del nostro disordinato archivio.
Giovedì 12 giugno è in programma al Meazza – che noi siamo abituati a chiamare San Siro – la sfida della Nazionale contro la Spagna allenata da Kubala.
Con nostro cugino (moderatamente milanista) nei panni di novello Cicerone ci muoviamo con largo anticipo per non giungere a ridosso delle 20,30, ora d’inizio dell’incontro.
Quando varchiamo per la prima volta la soglia del Mezza siamo presi e pervasi da una forte emozione: ci troviamo effettivamente nel Tempio del Calcio.
Occupiamo l’anello superiore dello stadio (sotto di noi sono posizionate le panchine) leggermente verso la curva nord interista, focolare dei Boys e delle San (Squadre Azione Nerazzurre). La curva sud è invece feudo della Fossa dei Leoni e delle Brigate Rossonere. Stranamente ci sono però dei vuoti intorno agli ultras indiavolati.
Circa due ore prima dell’inizio, gli azzurri, in tuta, fanno il loro ingesso in campo accolti da ovazioni e prolungati applausi. Il sorriso di Tardelli riassume la soddisfazione della squadra per l’accoglienza.
Le squadre entrano in campo al seguito dell’arbitro ungherese Palotai.
Farcita dagli juventini Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Causio, Tardelli e Bettega il resto della Nazionale che scende in campo annovera il milanista Collovati, l’interista Oriali, il granata Graziani, il viola Antognoni.
Quanto alla Spagna, relegati inspiegabilmente in panchina i mostri sacri Santillana e Juanito, gli iberici presentano dei giovani talenti come il centravanti Satrustegui, l’ottimo portiere Arconada, l’emergente terzino Gordillo, ben amalgamati con l’espertissimo libero Alesanco, il navigato centrocampista Asensi ed i temibili attaccanti Quini e Dani
Dopo gli inni nazionali le squadre si posizionano.
Mentre Zoff si accinge a difendere la porta ai piedi della curva sud, in un momento in cui lo stadio non è particolarmente rumoroso, quando il portiere azzurro alza il braccio in segno di saluto ai tifosi della sud, inaspettato prorompe il vendicativo urlo di guerra degli ultras rossoneri:
“Dino, Dino, vaffan…, Dino, Dino, vaffan…, Dino, Dino, vaffan…”.
Zoff appare sorpreso da quell’accoglienza, come del resto la parte rimanente dello stadio, che reagisce all’affronto con bordate di fischi e prolungati “buuuu”.
Ormai è chiaro, sono due i match che si disputeranno: uno calcistico, l’altro del tifo con l’uno contro tutti degli ultras milanisti.
Nostro cugino, milanista, stigmatizza il comportamento dei contestatori rossoneri.
Sottile è la loro tattica: lasciano spegnere l’entusiasmo inziale dei tifosi azzurri dei primi minuti che ad ogni affondo della Nazionale la incoraggiano rumorosamente, per attaccare subito gridando: “Milan, Milan, Milan”, sommerso dalle bordate dei fischi ed i “buuuu, buuu”.
È il copione che caratterizzerà l’intero incontro.
Quando bordate di fischi e “buuuu, buuu” li sommergono, alcuni milanisti alzano ripetutamente le braccia al cielo a forma di V. La curva sud è sotto osservazione.
Intorno al quarto d’ora del primo tempo, quando il libero Alesanco imbecca il baffuto Satrustegui che mette il pallone in rete, si assiste ad un qualcosa di incredibile: ammutolisce lo stadio l’entusiastico “Goooool” urlato degli ultras milanisti, che all’unisono sobbalzano dalle gradinate per esultare. Sono100, 150, 200?
Peccato per loro e per chi la pensa come loro che l’arbitro Palotai annulli la rete spagnola per fuorigioco dello stesso Satrustegui.
Termina il primo tempo e, nell’intervallo, un tifoso azzurro nelle nostre vicinanze ha un attacco d’ira: “Non è possibile che 50 pirla si prendano gioco di 55 mia spettatori!”.
Riprende il secondo tempo ma il copione non cambia: “Milan, Milan, Milan”, sommerso da bordate dei fischi e “buuuu, buuu”.
I tifosi azzurri cominciano a spazientirsi perché, pur sostenendo la squadra di Bearzot, notano un calo di tensione. Gli ultras rossoneri rimangono orgogliosamente compatti.
Finalmente, intorno al quarto d’ora, l’assonnato tecnico Kubala si decide ad inserire uno dei mostri sacri che tiene con sé a scaldare la panchina: Juanito.
Proprio Juanito, poco prima della mezzora calcia una magistrale punizione dal limite dell’aria: la palla, scavalcata la barriera con un Zoff quasi immobile, dopo aver colpito la traversa schizza sulla linea di porta finendo fortunosamente fra le braccia del portiere azzurro.
In tutto lo stadio echeggia l’urlo prolungato di imprecazione degli ultras rossoneri per il mancato goal spagnolo.
La partita termina e, alla fine, la Nazionale esce dal campo fra i fischi anche di chi l’ha sostenuta.
Per la cronaca saranno i vicecampioni d’Europa della Germania ad aggiudicarsi il titolo battendo in finale, a Roma, un sorprendente Belgio, piegato per 2-1 a due minuti dal 90°.
Quanto all’Italia, conquisterà a Napoli un magro quarto posto in una interminabile sfida vinta dai campioni uscenti della Cecoslovacchia per 9-8 ai calci di rigore (1-1 tempi regolamentari).
Nel paese nostrano delle memorie imposte ed a senso unico a scapito di quelle scomode che vanno silenziate, Italia-Spagna di quel 12 giugno 1980 è finita volutamente nel dimenticatoio non solo per la poco edificante prova degli azzurri, ma anche per il gesto imprevisto, inconsueto ed anticonformista dei giovani ultra milanisti. In pochi e soli contro tutti, ebbero il coraggio di contestare un sistema oscuro ed ambiguo che andrà peggiorando, stringendosi orgogliosamente attorno al loro Vecchio Milan, Vecchio Cuore Rossonero.
Michele Salomone