Lettera dal carcere a Papa Francesco prima di Pasqua. “E’ stato il nostro ultimo saluto”

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Mercoledì scorso avevamo scritto a Papa Francesco per chiedergli di tentare ancora una volta di svegliare le coscienze delle persone che possono intervenire per migliorare la situazione carceraria. La mail era stata ricevuta giovedì mattina dal suo segretario personale monsignor Fabio Salerno, lo stesso giorno in cui Papa Francesco è andato a visitare il carcere di Regina Coeli. Purtroppo il Santo Padre non ha avuto il tempo di rispondere, ma noi lo ricordiamo come l’unica personalità pubblica che aveva veramente a cuore il destino delle persone detenute. Il Suo Spirito non ci abbandonerà, ispirerà il suo successore e continuerà a darci speranza. A Dio Papa Francesco.

“A Sua Santità

Papa Francesco

Città del Vaticano

Padre Santo,

c’è un’immagine che è rimasta scolpita nel cuore delle tante persone detenute, non solo del Carcere di Rebibbia ma di tutte le carceri del mondo. È l’immagine della Sua Santa Figura, ritratta faticosamente in piedi, nell’atto di aprire la Porta Santa nel Carcere di Rebibbia all’inizio dell’Anno Giubilare. Molti hanno notato che solo in questo caso, tra le diverse cerimonie di apertura delle Porte Sante, Ella ha voluto sfidare i limiti della sofferenza per ergersi in piedi nel compiere questo Rito.

Il Suo gesto ci ha ricordato il terribile sforzo con cui San Giovanni Paolo II nel 2002, nonostante la sua malattia, raggiunse il più alto scranno della Camera dei Deputati per pronunciare un discorso al Parlamento italiano, con il quale chiese un atto di clemenza per la popolazione a quel tempo detenuta.

Abbiamo letto nella Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’anno 2025 la Sua denuncia e il Suo appello: “Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le privazioni economiche, le condanne imposte e, in non pochi casi, la mancanza di fiducia. Propongo ai Governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; percorsi di amnistia o di condono pena dove la pena è apparsa inutile a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrispondano un concreto impegno nell’osservanza delle leggi”.

È questo il segno della speranza nei cuori di chi vive dietro le sbarre, una speranza di riscatto non solo individuale ma collettivo: non essere rifiuti umani, gli scarti di una società informata solo da valori effimeri e materiali.

Non stiamo parlando per noi. Siamo due persone detenute che, per strade diverse, non dovranno aspettare molto tempo per giungere alla fine della propria pena e non abbiamo nulla da chiedere per noi in termini di clemenza e di facilitazione del nostro percorso.

Ma non possiamo dimenticare i nostri compagni di cella, di reparto, del carcere e le altre persone detenute nei diversi luoghi di sofferenza, considerando che vi sono molti anziani, molti malati senza cura, troppi giovani senza percorsi di riabilitazione, tanti “morti viventi” che trascorrono in modo inerte le loro giornate, in attesa di una libertà che arriverà solo quando saranno molto vecchi. Né possiamo dimenticare chi si è suicidato – tanti, troppi – o è morto per mancanza di cure.

Sappiamo di essere perfino dei privilegiati, perché il nostro Reparto è uno dei più vivibili in Italia rispetto a tutti gli altri, ma proviamo lo stesso un’angoscia e una sofferenza come le persone detenute in carceri ottocenteschi come Regina Coeli, nei reparti di alta sicurezza, nelle sezioni dove il sovraffollamento, presente in tutti le carceri, raggiunge i limiti del 200%.

Molti di noi hanno sbagliato, per altri è stata la macchina della giustizia a sbagliare. Nessuno chiede un colpo di spugna, una libertà facile, ma una speranza sì. Questo è un diritto che non può essere negato a nessuno, è scritto nella nostra Carta costituzionale e nella cultura cristiana e umanistica che fa parte della nostra identità e civiltà.

Cosa Le chiediamo, Santità? Le chiediamo, alla vigilia della Santa Pasqua giubilare, di compiere un ulteriore gesto concreto di misericordia e di tenerezza per chi non ha mai vissuto dietro le sbarre e solo in poche circostanze rituali e in modo stereotipato. Persone che operano nell’informazione, che rappresentano gli apparati dello Stato dedicati all’amministrazione della Giustizia, che decidono le leggi nel Parlamento e nel mondo politico.

Come possono queste persone non vedere che nelle nostre carceri il sovraffollamento è superiore ad ogni parametro di vivibilità stabilito in sede nazionale ed europea e che le vittime di questa situazione non sono solo le persone detenute, ma anche il personale che lavora con sempre maggiore difficoltà negli istituti di pena? Come possono sopportare il fatto che migliaia di percorsi di rieducazione previsti dalla legge ma bloccati dalla burocrazia, dalla carenza di personale, da una malintesa cultura della sicurezza che invece di difendere il cittadino dal crimine, diventa ideologia dell’odio sociale e della vendetta? Come possono attendere passivamente l’ennesima condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, procedure d’infrazione che sono autentiche vergogne che la nostra comunità nazionale, con la Sua guida e la Sua cultura, non merita?

Che Pasqua di Resurrezione sarà, Santità, se un segnale di speranza non arriverà anche nelle carceri italiane? Che Anno Giubilare sarà stato, se si dovesse concludere senza aver scalfito l’ignavia e la menzogna che rendono ancora più chiusi e invivibili questi istituti penitenziari? Insieme con il Presidente Sergio Mattarella, siete le uniche persone che possono ottenere questa svolta, con le vostre autorità morali e con il potere di testimonianza nella Fede.

Santità, la Porta Santa del carcere di Rebibbia rimane ancora, come Ella ha scritto, “un simbolo che invita a guardare all’avvenire con speranza e con rinnovato impegno di vita”.

Con questi sentimenti chiediamo la Sua paterna apostolica benedizione per tutte le persone detenute e il personale delle carceri.

Con filiale devozione. Giovanni Alemanno e Fabio Falbo

Roma, Carcere di Rebibbia, il 16 aprile 2025

Gianni Alemanno