Chi sono io? Cassandra

“Chi sono io? Cassandra,
Questo il mio nome. Nome.
Che cos’è un nome, quando
Non esiste una realtà
Che possa controllare
Ciò che chiamiamo nome?
Le parole che dico
Da sempre mi hanno in odio:
Non mi crede nessuno.”

Cosa ha da raccontare il mito di Cassandra oggi, nel nostro tempo, nel tempo dei social, delle chat, nel mondo post pandemico, nelle comunicazioni mediatiche e nelle diatribe politiche televisive? È forse necessario partire dal mito, da una sacerdotessa di Apollo, da una preveggente, da una donna che ha reso la visione verbo.

Ed è da questa figura, ancora oggi così complessa, che parte Stefania Lupelli per affrontare poeticamente e intellettualmente il nostro tempo. Pubblicato da Edizioni La Matrice, Cassandra porta come sottotitolo “la mia patria fu il vento” fornendo al lettore già una chiave interpretativa.

La scrittura poetica di Stefani Lupelli, infatti, è una scrittura che attraverso il verso affronta il contemporaneo, toccando temi classici lì dove per classico intendiamo ciò che non ha tempo, quindi ciò che è assolutamente e sempre attuale.

Ma cosa c’è di più attuale del pensiero intattuale, del pensiero complesso, all’interno della costante semplificazione che ci offre il mondo? Ed ecco che leggendo emergono le voci di Dionisio e di Apollo, le due forze dominanti della cultura greca, le due forze che hanno governato anche grossa parte del ‘900 attraverso il pensiero di Nietzsche, due forze che rappresentano una contrapposizione, rispettivamente tra l’istinto e la ragione, ma che potremmo interpretare anche attraverso le parole di Lupelli, come il passaggio tra Mythos e Logos, tra mito e ragione, tra la visione e la realtà, da sempre plasmata e plasmabile dalla cultura, dalla parola stessa.

Cassandra in questi versi si fa verbo, si interroga sul contemporaneo, che è il nostro tempo, che è un tempo effimero, nel quale chi si prefigge come obiettivo la cultura spesso si trova come portatore di verità inascoltate. In questo senso Cassandra può diventare la voce dell’autrice che si presenta al lettore come conoscitrice di una verità esistenziale impossibile da comunicare, una verità che sfugge nel momento stesso in cui viene raccontata, detta, narrata.

Così come Cassandra, Stefania Lupelli porta il lettore davanti al dubbio, che è forza, che è la radice stessa della cultura, un dubbio che travolge tutto fino ad arrivare a plasmare un pessimismo radicale, esistenziale.
Un pessimismo in grado di mettere in crisi la possibilità stessa di comunicarlo. Cos’è la parola se il suo significato non può essere trasmesso, comunicato o detto, ma non può nemmeno essere recepito?

Perché scrivere dunque? Perché un libro? Lupelli pone il lettoredavanti a questa domanda, ma è una domanda che emerge tra i versi, perché è la domanda alla base della stessa esistenza di Cassandra. Una domanda alla quale si può rispondere solo con l’azione, scrivendo, parlando, narrando.

Ecco che il pessimismo radicale cerca espiazione attraverso la condivisione, nonostante l’impossibilità, nella relazione tra le persone. Se c’è una possibilità è nella parola. Cassandra cerca incessantemente un punto di contatto con il mondo, con gli altri, con l’essere stesso, con la verità. Ma in che modo si realizza questo punto di contatto? Scrive Lupelli:

Tu, solo tu: il vero.
Non basta la risposta
Che abbiamo conosciuto.

Ecco che emerge la forza dei versi, della singola parola, proprio lì dove viene messa in discussione, la parola torna nella sua forma più alta: la poesia.In questo caso Lupelli utilizza il verso con grandissima attenzione, facendo emergere gli studi classici dai quali emergono le questioni portanti del testo.

Cassandra – La mia patria fu il vento è un monologo che fa della notte la sua cornice, una notte simbolica, una notte che tuttavia non esaurisce l’oscillare tra il dionisiaco e l’apollineo, tra gli istinti e la ragione.

Cassandra è un poema che offre uno squarcio sul contemporaneo, che muove da una visione pessimistica ma che non rinuncia a una fioca luce d’ottimismo riposta nella parola, proprio quella parola che non riesce, che fallisce nel suo intento, proprio quella parola consegna al lettore, alla fine della lettura, la sensazione d’aver condiviso la reale portata esistenziale della vita, una indicibilità in fondo, comune a molti.

Luca Romano

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