L’anima latina e mediterranea in Mogol e Battisti

«E se davvero tu vuoi vivere una vita luminosa e più fragrante

cancella col coraggio quella supplica dagli occhi

Troppo spesso la saggezza è solamente la prudenza più stagnante

E quasi sempre dietro la collina è il sole

Ma perché tu non ti vuoi azzurra e lucente?

[…]

No non temere, tu non sarai preda dei venti

Ma perché non mi dai la tua mano, perché?

Potremmo correre sulla collina

E fra i ciliegi veder la mattina (e il giorno)

E dando un calcio ad un sasso, residuo d’inferno

Farlo rotolar giù, giù, giù…

E noi ancora ancor più su

Planando sopra boschi di braccia tese»



Chi non ha mai ascoltato queste parole tratte da La collina dei ciliegi (contenuta nell’album Il nostro caro angelo del 1973), una delle tante belle canzoni scritte da Mogol e cantate e musicate in modo inimitabile da Lucio Battisti (1943-1998)?

Ci sono canzoni che sono autentiche poesie. Anzi, a ben guardare, le parole in musica rimandano per certi versi alle origini stesse della poesia, alle cetre degli aedi e ai liuti dei trovatori. Come scrive in Che cos’ è la poesia? il poeta e critico letterario Daniele Giancane:

«si sente sovente dire in giro che i giovani non amano la poesia. Non è vero, è un altro pregiudizio che le generazioni “agè” hanno nei confronti delle nuove leve. Forse amano poco la poesia tradizionale, quella storicizzata dei Petrarca e dei Foscolo, dei Montale e dei Luzi, ma […] i giovani amano la poesia, né potrebbero altrimenti, visto che la poesia tocca i sentimenti più profondi del cuore umano, fa sognare e incantare, riflettere, condurre quasi in un altro luogo […] ma dove la trovano? La risposta è facile: nei testi dei cantautori, i quali molto spesso sono dei veri e propri poeti».

Le poesie di Mogol unite al genio musicale e all’interpretazione di Lucio Battisti hanno dato vita a capolavori che come una colonna sonora hanno accompagnato intere generazioni a partire dagli anni ’70 del Novecento. I testi raccontano passioni d’amore, emozioni quotidiane, sogni e sentimenti di tutti gli adolescenti. «Lucio resta un mito e un pezzo della nostra autobiografia collettiva», scrive Marcello Veneziani. E prosegue: «Nell’epoca dell’invadenza del politico e della vita collettiva, ci attaccammo a quel lieve evocare le emozioni e i mondi interiori; ci attaccammo a quelle storie d’amore, a Linda, Francesca, Anna, per cantare le nostre e riabilitare l’universo a due in piena orgia collettiva» (Il Tempo, 8 settembre 2018).

Per Mogol e Battisti vale senz’altro il detto di Cèline: «In principio c’è l’emozione».

«Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi

Ritrovarsi a volare

E sdraiarsi felice sopra l’erba ad ascoltare

Un sottile dispiacere

E di notte passare con lo sguardo la collina per scoprire

Dove il sole va a dormire

Domandarsi perché quando cade la tristezza

In fondo al cuore

Come la neve non fa rumore».

Comincia così una delle loro più belle canzoni-poesie che non a caso si intitola Emozioni (1970).

Ma, se l’amore è il tema dominante, non è l’unico tema. C’è anche, come nei versi sopra citati de La collina dei ciliegi  la voglia – e l’invito – di andare oltre vieti pregiudizi, oltre gli steccati ideologici e le convenzioni borghesi e aprirsi ad una dimensione, se non religiosa, certamente spirituale, che fa tutt’uno con la Natura vivente. E ci sono poi svariati temi sociali e civili affrontati ora con leggerezza ora con umorismo o ironia, ma sempre con grande poeticità, come il rispetto per la donna (Anche per te) e la critica alla mercificazione del corpo femminile (Ma è un canto brasileiro), la celebrazione della vita di campagna (Le allettanti promesse), la denuncia dell’inquinamento (Una giornata uggiosa).

In molte delle canzoni del duo Mogol-Battisti traspare poi un’indubbia sensibilità ecologista. Ricordiamo che nel giugno del 1970 Mogol e Battisti , pur non essendo cavalieri esperti, compirono un mitico viaggio a cavallo da Milano a Roma, battendo strade poco conosciute ed evitando il più possibile l’asfalto.

Come ebbe a dichiarare di lì a poco lo stesso Battisti in un reportage in tre puntate apparso a sua firma su TV Sorrisi e canzoni: «A cavallo le strade sono diverse, tutto è diverso in questa Italia semisconosciuta che frughiamo lentamente giorno per giorno. Percorriamo sentieri in mezzo ai boschi, stradine polverose, viottoli di montagna, spiagge. Qualche volta, ma è raro, incontriamo una striscia d’asfalto» (n. 26, 28 giugno 1970). E nell’articolo precedente precisava: «Lo spirito è quello di provare a noi stessi che possiamo farcela, e quello di godere, senza preoccupazioni, di un vero contatto con la natura, per curarci un po’ delle malattie della nostra vita di lavoro, di fretta, di angosciosa corsa contro il tempo. Allora dico io: “Non c’è tempo? Prendiamocelo» (n. 25,  21 giugno 1970).

In un’epoca di forti contrapposizioni ideologiche, come furono gli anni ’70 del Novecento, Battisti fu accusato di essere fascista. A questo proposito vale quel che ha dichiarato Mogol: «Lucio Battisti non è mai stato interessato alla politica. […] Negli anni ’60 e ’70, o andavi in giro con il pugno alzato e cantavi Contessa, oppure eri fascista. O qualunquista. Ma io e Lucio eravamo semplicemente disinteressati alla politica».

È un’ovvietà, ma occorre ripeterla: le emozioni non sono né di destra né di sinistra. Costituiscono, per dirla con Mogol e Battisti, l’«umanamente uomo». Battisti non salutava col pugno chiuso, non era un conformista,  le sue canzoni non esaltavano l’impegno politico, e questo bastava per etichettarlo.

D’altra parte, nel mondo giovanile di “destra”, che era emarginato e comunque si sentiva sotto assedio, le canzoni di Battisti offrivano una sponda. Ce lo spiega bene Veneziani:

«Non so chi fosse veramente Lucio, ma so come lo ascoltammo noi ragazzi di destra degli anni settanta. In un mondo che non ci vuole più era l’incipit di una sua canzone ma anche del nostro dissenso. Il mio canto libero è stata la colonna sonora di una vita e di una scelta professionale. E l’immensità si apre intorno a noi, s’innalzano purissime… alludeva per noi a scelte eroiche, come le discese ardite e poi le risalite… E poi, la veste dei fantasmi del passato cadendo lascia il quadro immacolato, a noi parve un’allegoria della militanza ideale nel nobile regno dei vinti, cari al cielo e maledetti dalla storia. Come il suggestivo planando sopra boschi di braccia tese, in cui figuravamo distese di saluti romani; o il più classico volando intorno alla Tradizione, dove qualcuno sentiva odore di Evola e Guénon».

In ogni caso, se Battisti, come pure sembra con qualche fondamento, fu davvero di destra radicale, è una questione irrilevante, perché «da un cantante non bisogna aspettarsi lezioni politiche o ideologiche, ma belle canzoni e vibranti emozioni» (Marcello Veneziani).

Battisti e Mogol insieme hanno saputo esprimere poeticamente l’anima latina e mediterranea del popolo italiano. E noi, ancora oggi, ci chiediamo con loro:

«Ma che colore ha una giornata uggiosa

Ma che sapore ha una vita mal spesa»

(Una giornata uggiosa).

Sandro Marano

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