Le garanzie del nostro futuro riposte nelle disgrazie altrui

Una settimana fa sono stati pubblicati i dati Istat sui quali si aprono le solite annose discussioni. Ognuno poi, a seconda che parteggi o meno per il governo in carica, dà a questi numeri la propria interpretazione nello sforzo di ottenere conferme della bontà del proprio pensiero.

Tra i tanti numeri dati dall’Istat quelli che di recente vengono presi in maggiore considerazione sono quelli relativi alla crisi economica, alla disoccupazione e alla denatalità: siamo sempre meno. Chi pagherà le nostre pensioni? Come si reggerà il sistema economico Italia?

Questo è il clima culturale che si respira ed in questo clima il problema della denatalità, in realtà, non sarebbe un problema se non avesse implicazioni di natura economica: «l’andamento della crescita demografica in Italia pone a rischio l’equilibrio di bilancio e apre nuove sfide per governare gli scenari del futuro», queste, ad esempio, le parole espresse da Tridico al vertice del consiglio di amministrazione dell’INPS mentre, per altro verso c’è chi a livello mondiale, per ragioni di sostenibilità ecologica, al contrario auspica una contrazione della popolazione mondiale.

Restando, però, a casa nostra il problema sembra essere quello della denatalità. Le soluzioni più gettonate principalmente sono due, entrambe di carattere economico il che evidenzia che il sistema si interessa non tanto della nascita quanto della riproduzione di esseri umani al fine di perpetrare sé stesso. Al contrario di come vorrebbero i nostri lettori non c’è alcun cambio di rotta; non la diffusione di una cultura di apertura alla magnificenza, al miracolo della vita ma, da una parte, misure economiche per premiare le gravidanze e dall’altra il coniglio magicamente preso per le orecchie e sollevato dal cilindro è quello di favorire l’ingresso in Italia di altre popolazioni che fuggono da guerre, persecuzioni, miseria.

Quest’ultima magica soluzione ha poi due scuole di pensiero: quella della resa incondizionata al fenomeno epocale dell’immigrazione di massa, e quella di chi, più moderato, suggerisce di regolamentare, ovvero, limitare flusso biblico, quasi si tratti di dover ridurre gli ingressi a qualche famiglia che in modo composto si reca agli uffici consolari italiani, compila la sua bella domandina, torna a casa e dopo qualche giorno riceve l’attesa raccomandata con la quale il Governo italiano la ammette a varcare i confini.

La realtà, come ben sappiamo è ben altra, ed è quella che sta vivendo l’umanità, l’intera umanità: una tragedia che nessuno vuole fermare. Anche di fronte a questa immane apocalisse, che ci vede assistere passivamente allo sradicamento di milioni di persone non solo dalla loro terra ma anche dal loro tessuso sociale, comunità, famiglie, ecc., l’egoismo che ci contraddistingue, e che è oramai endemico nella nostra cultura asservita ad un consumismo dell’effimero lontano dalla nostra tradizione, non ci fa intervenire sulle cause ma al contrario ci fa intravvedere nella dissoluzione di questi popoli, un’opportunità per il nostro futuro ovvero, come titola oggi un editoriale di Avvenire a firma di Francesco Riccardi una garanzia per il nostro futuro.

In altri termini, la soluzione ai nostri problemi causati principalmente da un egoismo ipertrofico che non ci porta a fare figli perché comportano sacrifici, perché non ce li possiamo permettere, perché sono di impedimento alla nostra libertà, alla nostra carriera, o semplicemente perché non ne sentiamo il bisogno; la soluzione al nostro problema di non voler cambiare stile di vita, adottandone uno più sobrio, sta proprio lì nell’approfittare della disperazione e della disgrazia di milioni di persone costrette ad abbandonare la loro terra per essere accolte, codificate fiscalmente, e trattate come numeri da irregimentare nei prossimi dati Istat.

Se ci riuscissimo dovremmo vergognarci!

Paolo Scagliarini