Leone XIV e le Chiese Orientali

CITTÀ DEL VATICANO – Papa Leone XIV ha inaugurato il suo pontificato sotto il segno dell’unità, della tradizione e del coraggio. E occorrerà la forza e il coraggio di un Leone per non essere “trascinati per la mozzetta” dai cosiddetti “tradizionalisti” e dai cosiddetti “progressisti”. Tra i primi gesti simbolici di questo nuovo inizio, emerge con forza la scelta di rivolgere un’attenzione speciale alle Chiese Orientali, antiche custodi della fede apostolica e testimoni, spesso sofferenti, della vitalità del cristianesimo nei luoghi delle sue origini. Non possiamo dimenticare che proprio del Dicastero per le Chiese Orientali l’ex cardinale Prevost fu nominato membro il 4 ottobre 2023 da papa Francesco.
Il 9 maggio 2025, nella Cappella Sistina, Leone XIV ha presieduto la sua Prima Messa con tutti i cardinali, un momento carico di emozione e significato. Sotto il grande affresco del Giudizio Universale, il Papa ha voluto ricordare anche sant’Ignazio di Antiochia, il vescovo martire sbranato dalle belve nel circo romano. Richiamando il suo sacrificio, Leone XIV ha indicato a tutti i pastori della Chiesa la via della donazione totale, della fedeltà fino al martirio, ribadendo la gravità e la responsabilità del ministero petrino ed ecclesiastico in generale.
In questo quadro di riferimento si inserisce anche il rapporto privilegiato di Leone XIV, l’ex cardinale Robert Prevost, figura di spicco della Curia negli anni precedenti, noto per il suo impegno a favore del dialogo con le Chiese Orientali e per la promozione di una visione autenticamente sinodale del governo ecclesiale. Ne siamo certi, saprà tenere ferma la barca di Pietro. Come prefetto del Dicastero per i Vescovi, Prevost aveva già sottolineato più volte l’importanza di valorizzare la testimonianza e la tradizione delle Chiese orientali cattoliche e ortodosse, viste non come “ospiti” nella Chiesa universale, ma come sue componenti vive e imprescindibili.
Leone XIV, raccogliendo e sviluppando queste premesse, ha dato il segnale sul fatto che uno dei cardini del suo pontificato potrebbe essere proprio il rafforzamento dei legami spirituali, teologici e pastorali con l’Oriente cristiano. Fonti vaticane riferiscono che il nuovo Papa sta già lavorando a una serie di iniziative concrete, tra cui una possibile convocazione di un Sinodo straordinario dedicato alla situazione dei cristiani in Medio Oriente, e una serie di viaggi apostolici in Libano, Armenia, Siria e Georgia.
Questa rinnovata attenzione non è solo un gesto di cortesia diplomatica. Come emerso nella Prima Messa del 9 maggio. L’intento di Leone XIV è quello di radicare più profondamente la Chiesa latina nelle radici comuni della fede apostolica, aprendosi alla ricchezza spirituale delle liturgie, della teologia e della spiritualità orientale. In un’epoca di profonde trasformazioni culturali e religiose, la comunione con l’Oriente appare al nuovo Pontefice non come un’opzione, ma come una necessità vitale per il futuro della cattolicità.
Non va dimenticato, infatti, che molte delle Chiese Orientali, sia cattoliche sia autocefale, vivono oggi sotto la pressione di guerre, persecuzioni e crisi umanitarie che mettono a rischio non solo la loro sopravvivenza materiale, ma anche la loro identità spirituale. Il richiamo a sant’Ignazio, testimone di una fede vissuta fino al sangue, vuole ricordare a tutto il collegio cardinalizio — e, attraverso esso, a tutta la Chiesa — che il ministero ecclesiale non può essere ridotto a funzioni amministrative o a carriere onorifiche. Esso comporta una vocazione al sacrificio, alla fedeltà radicale, alla capacità di donarsi senza riserve, come il chicco di grano che deve morire per portare frutto.
Nell’omelia del 9 maggio, Papa Leone XIV ha parlato senza ambiguità: “[…] Dico questo prima di tutto per me, come successore di Pietro, mentre inizio questa mia missione di Vescovo della Chiesa che è in Roma, chiamata a presiedere nella carità la Chiesa universale, secondo la celebre espressione di Sant’Ignazio di Antiochia (cfr Lettera ai Romani, Saluto). Egli, condotto in catene verso questa città, luogo del suo imminente sacrificio, scriveva ai cristiani che vi si trovavano: «Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo» (Lettera ai Romani, IV, 1). Si riferiva all’essere divorato dalle belve nel circo – e così avvenne –, ma le sue parole richiamano in senso più generale un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato (cfr Gv 3,30), spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo.”
Carlo Coppola