Riforme della Giustizia: quando sono in ballo i diritti dei cittadini

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La Giustizia è, in questa Nazione, un argomento da bar dello sport: tutti ne parlano e non tutti lo fanno con cognizione di causa. L’art. 21, Costituzione per fortuna garantisce a tutti il diritti di esprimere liberamente le proprie opinioni; solo che su argomenti importanti, parlano persone che, nella vita, si occupano di altro e che, allorquando gli addetti ai lavori affrontano determinati argomenti, si lasciano trasportare dall’emozione del tifo. E, quindi, straparlano.

La Giustizia come il pallone e i film del primo Lino Banfi: tutti si sentono grandi giuristi, pur non avendo mai messo piede in un’aula di giustizia, in una saletta della facoltà di Giurisprudenza o – più semplicemente – nella stanzetta di uno studente di Giurisprudenza del primo anno, impegnato con Storia del Diritto Romano.

Sono quasi due anni che è entrata in vigore quella che gli addetti ai lavori ritengono il più grande stravolgimento della Giustizia in Italia, vale a dir la c.d. Riforma Cartabia, che ha costretto tutti (o quasi) gli addetti ai lavori, a rivedere la propria opera professionale e, in un certo qualmodo, anche se stessi. Una riforma epocale del processo civile e del processo penale che, salvo poche e isolate voci di dissenso (per lo più limitate ad invettive via social o a piagnistei fra avvocati), è passata sotto silenzio: non ne hanno parlato i giornali, non ne hanno parlato i politici (di destra e di sinistra), non ne ha parlato pubblicamente la Magistratura. Purtroppo la Avvocatura, in questo bailamme legislativo, fatto di vecchi e nuovi codici, non si è fatta sentire adeguatamente, così come – in fase di concepimento della Cartabia – era rimasta praticamente fuori dalla porta delle consultazioni. In fondo, mutuando quella che è una frase detta da un cancelliere, anni fa, gli Avvocati sono ospiti dei Palazzi di Giustizia, paragonati agli utenti e non visti, piuttosto, come il filtro tra le istanze dei cittadini e il Potere Giudiziario.

Astensioni? Manco a parlarne; anche perché chi ci rimetterebbe, sarebbero i cittadini i quali si vedrebbero rinviare ad libitum la propria voglia di Giustizia per i capricci del proprio Avvocato che, a sua volta, rischierebbe di vedere procrastinato nel tempo il suo onorario. Se Parigi ben valeva una messa, oggi il silenzio e il rendersi zerbini dinanzi a certi scempi val bene una accusa di crumiro.

Eppure, nonostante i disagi causati ad una intera categoria Professionale, nel silenzio generale, solo oggi certa politica (con la p volutamente minuscola) e la magistratura trovano il tempo di protestare per una riforma che ritengono lesiva delle proprie prerogative: la c.d. separazione delle carriere. Oggi chi fa parte della Magistratura Inquirente, può essere trasferito a incarichi Giudicanti (e viceversa). E chi, Giudicante, opera nel penale, può essere trasferito nel civile (e viceversa).

Passi per le rivendicazioni lobbistiche della Magistratura (o di parte di essa); in fondo, qualunque riforma che venga sentita come peggiorativa, di sicuro merita proteste (che, però, devono apparire condivisibili e che, comunque, non devono danneggiare i cittadini). Ma quando chi ci rimette, sono i cittadini, non ci si può stare.

La Giunta delle Unioni delle Camere Penali ha espresso la sua opinione; non sembra che le rappresentanze della Avvocatura e le Associazioni nazionali della Avvocatura abbiano stigmatizzato più di tanto, lo sciopero proclamato da ANM: forse perché si ha famiglia? O forse perché si condividono le decisioni di ANM? In un caso o nell’altro, al di là delle flebili proteste, nei confronti di una riforma che ha tagliato le gambe ai diritti di cittadini (la Cartabia) e dei comunicati stampa (propalati più per motivi di immagine che per altro), che cosa hanno fatto? E la politica (di destra e di sinistra) cosa ha detto e cosa ha fatto?

Domande, queste, destinate certamente a rimanere senza risposta. Eppure i diritti dei cittadini (degli utenti della Giustizia) meritano risposte adeguate e, se del caso, anche proteste forti che non si limitino ai miagolii social.

Anni fa, qualche Avvocato il quale aveva aderito ad una astensione dalle attività di udienza, fu denunziato da qualche giudice zelante. Non si sa che fine hanno fatto il procedimento penale e quello disciplinare.

Ma oggi che i giudici hanno deciso di scioperare, qualche noto collega farà lo stesso? E, soprattutto, i politici zerbino cosa diranno?

A ben vedere, hanno già detto. E forse sarebbe stato meglio se avessero taciuto …

Nicola Zanni