Gary Snyder (San Francisco,1930), esponente di primo piano di quel movimento filosofico culturale e politico che è l’ecologia profonda, è considerato uno dei maggiori poeti americani contemporanei. Ricordiamo, per inciso, che furono due filosofi il norvegese Arne Naess e lo statunitense George Sessions a stendere nel 1984 gli otto punti della piattaforma dell’ecologia profonda, cui Snyder aderì convitamente. 

Il più famoso dei suoi testi è L’isola della Tartaruga, che è poi l’antico nome che i nativi davano al continente americano. Fu pubblicato nel 1974 e può considerarsi ormai «un classico della controcultura americana» (Chiara D’Ottavi), per il quale  l’anno dopo Snyder fu insignito del premio Pulitzer per la poesia. Consta di cinquantotto poesie e di cinque brevissimi saggi. Sia nelle poesie che nei piccoli testi in prosa emergono chiaramente la sua visione dell’ecologia profonda e la sua critica all’antropocentrismo. Nella nota introduttiva Snyder scrive: «Le poesie qui raccolte parlano di luoghi e di percorsi di energia, fonti primarie della vita. Ogni forma di vita è un mulinello nella corrente, un vivace turbinio nel flusso continuo dell’esistenza. […] Ascoltiamo nuovamente il richiamo profondo delle nostre radici.» 

Nella vita e nell’opera di Snyder si intrecciano strettamente spiritualità buddista, amore per la natura selvatica e creatività poetica: 

«Per scalare queste cime,
un consiglio per te,
per te e per i tuoi figli:
state assieme,
imparate dai fiori,
andate leggeri.»

(da Per i bambini).

Attratto dal pensiero e dalla poesia dell’estremo Oriente (fin da giovane aveva letto le poesie cinesi tradotte da Pound),  dopo aver lavorato come taglialegna e guardaboschi nel parco nazionale dello Yosemite e aver studiato Zen e scienze forestali, nel 1955 affiancò, senza farne parte integrante, la beat generation. Tra l’altro, figura, nei panni di Japhy Ryder, come uno dei protagonisti principali del romanzo di Jack Kerouac, I vagabondi del Dharma (1958). Fra il 1956 e il 1968 visse  in Giappone in un monastero zen, dove apprese il giapponese e le tecniche della meditazione, per poi tornare negli Stati Uniti. Dal 1986 insegnò a lungo scrittura creativa all’Università di Davis in California.

Autore di più di una ventina di libri di poesie e di saggistica, con le sue poesie ha voluto richiamare l’attenzione della società americana e mondiale sulla salvaguardia della natura selvatica oltraggiata dal progresso tecnico: «È una questione d’amore, ma un amore che si estende agli animali, alle rocce, alla terra… a tutto. Senza questo amore possiamo finire, anche senza guerre, in un luogo inospitale».

Nei versi finali d’una delle più belle e significative poesie del libro, Il richiamo del selvatico, non nasconde peraltro una punta di pessimismo:

«Una guerra contro il pianeta.
Quando sarà finita non esisterà più
alcun luogo
Dove un coyote si possa nascondere.
Mi piacerebbe poter dire
Il coyote sarà per sempre
Dentro di voi.
Ma non è vero.»

Chiudiamo questo breve profilo di Gary Snyder con una sua poesia assai significativa, che ben mette in rilievo l’indifferenza della natura al progresso tecnico, specie se si tratta di bombardieri, con due veloci notazioni preliminari: 1) il titolo fa corpo con la poesia; 2) il ceanothus, o lillà della California, citato nella poesia è una pianta sempreverde originaria dell’America del nord e, in particolare, della California, che resiste bene ai rigori invernali.

Facciamo giuramento insieme a tutte le creature
Mangiamo un panino
al lavoro nel bosco,
e una cerva bruca ceanothus tra la neve:
ci teniamo d’occhio, mastichiamo all’unisono.
Un bombardiere della base di Beale
sopra le nuvole
riempie il cielo di un rombo.
Lei solleva la testa, ascolta,
aspetta fin quando il rumore è passato.
Così faccio anch’io.

Sandro Marano