Massimo Del Pizzo, abruzzese, già docente di letteratura francese presso la facoltà di Lingue e letterature straniere dell’Università di Bari, ha al suo attivo la pubblicazione di diversi racconti di genere fantastico, tra cui citiamo: Contropasso (1996), Bianco notturno (2001), Per mari disperati (2006), Doppio delitto (2007), L’onironauta (2012), Soldato di ventura (2017), Uccidimi (2020), nonché la traduzione e la postfazione, nel 2007, di alcuni racconti di Pierre Drieu La Rochelle pubblicati nei pregevoli quadernetti delle edizioni di Via del vento (Vietato uscire e Niente da fare). Nel 2019 ha pubblicato un racconto, liberamente ispirato ai Vangeli apocrifi, Gesù, il figlio (Arsenio, pp. 56, €10), sul quale ci soffermiamo con l’autore in questa pagina.

La Fiaccola (LF): Dopo tanta narrativa di genere fantastico con questo racconto ed anche con l’altro Uccidimi sembri virare verso un certo naturalismo? 

Massimo Del Pizzo (MDP): Il mio fantastico è sempre stato un fantastico di confine; cioè ho sempre voluto esplorare, spesso attraverso una prosa poetica, il rapporto fra realtà, mondo onirico e mondo delle pulsioni. Ecco, quasi tutti i miei precedenti racconti (Contropasso, Bianco notturno, Per mari disperati, Doppio delitto, Figli, L’onironauta ecc.) stanno tutti in questo sconfinare tra due o più dimensioni. Nel contempo, il realismo mi ha sempre affascinato, al pari del fantastico. Sia in Gesù il figlio che in Uccidimi, ma anche nei citati Contropasso e Bianco notturno, in particolare, il lettore troverà segni di questa tensione, per me irrisolta, tra realismo e fantastico. Spesso, quando la realtà si fa racconto sfocia nel fantastico o in una delle sue innumerevoli forme: realismo e fantastico sono due facce di una stessa medaglia. Insomma, questo rapporto sta in un ossimoro. In Bianco notturno scrivo: “Bianco notturno mi rivela che siamo fatti di passaggi aperti, di reti dalle maglie troppo larghe che non trattengono i sogni ma solo per un po’ li bloccano, poi cedono e i sogni ci lasciano. Lo so, siamo reali”.

LF: La figura di Gesù non cessa di affascinare uomini d’ogni tempo e di diversa cultura. Anche quando suscita la rivolta di Ivan Karamazov o del filosofo dell’eterno ritorno. C’è il Gesù di Renan «iniziatore del mondo a uno spirito nuovo», libero «da ogni pastoia dogmatica» e da collocare «sulla più alta vetta della grandezza umana». C’è il Gesù di Pierre Drieu La Rochelle, che chiude il suo romanzo Gilles con una vera e propria professione di fede e lo assimila a Dioniso e a Osiride, agli déi dell’antichità che muoiono e risorgono. E c’è il Gesù carnale di David H. Lawrence che non muore sulla croce e si risveglia al calore del sole, della corporeità e della sensibilità. Perché dunque un racconto su Gesù? cosa ti ha spinto? 

MDP: Ho scritto questo racconto perché mi affascina la figura del Cristo in tutte le sue dimensioni  (storica, simbolica, mitica) e perché mi interessava parlare del rapporto padre – figlio. Infatti anche Giuseppe ha un ruolo dominante nel testo. Gesù si avvicina a lui con devozione e pietas nel momento del trapasso. Ma è anche colui che da Giuseppe trae ispirazione per illuminare il senso della propria missione. È il tramite fra Giuseppe e il mondo.

LF: quali sono state le tue fonti? nei Vangeli canonici alla figura di Giuseppe si dedicano pochissimi cenni, per lo più in Matteo (I, 19-21) a proposito della nascita “scandalosa” di Gesù…

MDP: È vero, nei Vangeli canonici Maria e Giuseppe sono figure trascuratissime. Per Gesù, il figlio le fonti sono state essenzialmente i Vangeli apocrifi, dove, come è noto, essi sono personaggi che hanno largo spazio. Ma ho scritto con grande libertà, anche rispetto alle fonti.

LF: Il “tuo” Gesù spiega umanamente i miracoli: o sono trucchi ben riusciti come nell’episodio delle nozze di Cana o sono illusioni ottiche come quando i discepoli lo vedono  camminare tra le acque  non avendo al risveglio ben smaltito i fumi del vino… però, nello stesso tempo è un Gesù presago e consapevole del suo destino e che un miracolo comunque lo realizza: quello di insegnare agli uomini ad amarsi gli uni gli altri… Assai bella è la tua parabola del pesce che non voleva salvarsi, sotto cui è facile riconoscere lo stesso Gesù… È dunque meno un dio che si fa uomo che un modello di conoscenza e di umanità?

MDP: Sì, il “mio” Gesù l‘ho immaginato consapevole del proprio destino e della propria missione, pur se a volte preso dal dubbio e sotto il peso di tale consapevolezza.

Sandro Marano

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: