Nietzsche poeta e filosofo

Ci sono storici della filosofia che giudicano Nietzsche un magnifico poeta ma un cattivo filosofo. E certamente, se facessimo una sorta di prova del nove filosofica escludendo dal pensiero di Nietzsche Così parlò Zarathustra e La nascita della tragedia, nonché alcuni luminosi aforismi di Aurora e de La gaia scienza che anticipano comunque lo Zarathustra, non resterebbe che una filosofia scettica, non particolarmente originale, una sorta di psicologismo che si avvale del metodo genealogico per ricondurre l’alto al basso e distruggere i valori tradizionali. E sotto questo profilo appare in qualche modo fondata un’affermazione del filosofo marxista György Lukacs (che d’altro canto propone un’interpretazione affatto parziale e malevola del pensiero nicciano), secondo cui Nietzsche «usa il divenire come un ariete filosofico» (1).

Condivisibili, a nostro avviso, sono le osservazioni fatte a questo proposito da Sossio Giametta, uno dei maggiori interpreti e traduttori di Nietzsche: «il modo in cui [Nietzsche] generalizzò e assolutizzò la scepsi stessa riuscì disastroso per lui e per gli altri. Nessuno invero dubita che la scepsi, ossia il dubbio metodico, il controllo critico, perfino il sospetto sistematico, siano in genere cose buone. Ma nessuno può neanche dubitare che, fatta legge generale e assoluta, istituzionalizzata come sospetto infamante e infine come nichilismo, la scepsi possa dilagare, dirompere, distruggere. Come infatti avvenne per Nietzsche» (2).

E neanche si può dubitare che ci sia ci sia una divaricazione tra il Visionär [Visionario] de La nascita della tragedia e del Così parlò Zarathustra e il Freigeist [Spirito libero] di Umano troppo umano e delle opere posteriori allo Zarathustra. Con la conseguenza che «l’identità più vera di Nietzsche, più libera e profonda, è manifestata dallo Zarathustra, che è dunque il libro più suo, più caratteristico e caratterizzante, mentre la filosofia della volontà di potenza, in quanto apre il varco ai, e convoglia i, disvalori dell’epoca, caratterizza più l’epoca che lui» (3).

Anche Croce notava che «al tipo dello pseudo filosofo si collega altresì Federico Nietzsche, che non stabilì alcun filosofema che valga; nella storia della filosofia come scienza egli, quando non riecheggiò motivi della filosofia romantica, rimase quasi affatto sterile» (4). E Sossio Giametta, concordando parzialmente con Croce, osserva: «Nietzsche non stabilì nessun filosofema, che valga, dice Croce e ripetono altri. Non hanno ragione, Nietzsche un filosofema lo stabilì, il concetto di nichilismo, che trasforma la filosofia in moralismo, cioè ne trasferisce il centro irradiante dalla realtà all’uomo. Croce non lo capì. Non per difetto d’intelligenza ma perché esso è contro natura, difficile da capire perché difficile da accettare, da vivere, specie per chi, come Croce appunto, è tutto dedito a una religione positiva, ad un credo di attività. Ma Croce e gli altri non hanno neanche del tutto torto. Perché quel filosofema negativo è anche il solo che Nietzsche stabilì, con poca spesa, cioè spingendo agli estremi una certa posizione pessimistica di Schopenhauer […] La sua filosofia scettica si riduce a quell’unica negazione, anche se poi presentata in mille sfaccettature. Una sua filosofia positiva una sua filosofia, si può dire semplicemente […] non esiste. […] Esiste un nucleo positivo, ma è il nucleo di un poeta, non di un filosofo. È la visione dionisiaca, che è la visione del poeta eroico e tragico che Nietzsche era in profondità. Per il resto, la filosofia di Nietzsche non è altro che la visione empirica della vita, ritenuta insuperabile e infilosofabile. La sintesi del poeta di fondo, positivo, con la filosofia di superficie, negativa, dà come risultato il grande moralista» (5).

Sennonché, al di là delle unilateralità e delle contraddizioni che si possono imputare alla filosofia scettica o relativista di Nietzsche, va considerato che in Nietzsche si trova sempre di che correggere Nietzsche. La dottrina dell’eterno ritorno, ad esempio, corregge la volontà di potenza; la critica della civiltà l’esasperato individualismo; e quando Nietzsche ammonisce che bisogna ridiventare buoni amici delle cose prossime non anticipa forse quella critica al razionalismo e alla ragione fisico-matematica che è uno dei capisaldi del vitalismo storicista di Ortega y Gasset e delle successive filosofie dell’ecologia?

In un passo della sua replica a Ugo Spirito il filosofo cattolico Augusto Del Noce osservava: «Ma come non ricordare che l’Ottocento si chiude con il filosofo che ebbe la visione di tutte le conseguenze della morte di Dio? […] Il suo è veramente l’ateismo giunto alla coscienza tragica, e con ciò alla sua crisi finale». L’ateismo, infatti, secondo il filosofo cattolico, comporta la perdita di un legame con l’essere, la scomparsa dell’idea di verità, in una parola, il nichilismo. E mostrando i limiti del recepimento della filosofia di Nietzsche in Italia, aggiungeva: «In realtà l’idealismo italiano si è formato escludendo dalla filosofia l’intera linea da Schopenhauer a Nietzsche» (6).

D’altra parte, va rilevato che la filosofia non è solo pensiero e critica, ma anche visione del mondo, proposizione di valori. Questi due aspetti sono inestricabilmente fusi in filosofi come Nietzsche, che sono insieme pensatori e poeti. C’è un Nietzsche maestro del disincanto, che filosofa col martello e approda al nichilismo e c’è un Nietzsche-Zarathustra che cerca di superare il nichilismo e la visione antropocentrica in una visione biocentrica riassumibile in quell’affermazione, che «è una delle più belle e potenti dello Zarathustra» (Sossio Giametta): «il cuore della terra è d’oro».

C’è un Nietzsche distruttore dei valori cristiani nel nome della volontà di potenza e c’è un Nietzsche che bandisce i valori vitali e proclama l’amor fati, che «altro non è se non quello che il cristiano chiama rimettersi alla volontà di Dio» (Sossio Giametta). E questo è il dramma di Nietzsche come uomo e come pensatore: tentare di riunire questi aspetti apparentemente contraddittori in un tutto armonico.

Se d’altra parte, come osserva con finezza Lou Salomè, in Nietzsche agisce sotto traccia la nostalgia del paradiso perduto, al suo pensiero filosofico è sottesa un’intima religiosità, ossia un legame con l’essere, una volontà, come dichiara lui stesso nello Zarathustra, di ricomporre in unità «ciò che nell’uomo non è che frammento ed enigma e caso spietato».

La filosofia propria di Nietzsche, allora, si configura come una filosofia del mattino, una filosofia che vuol indicare un nuovo inizio e fa propria l’esigenza di un rifidanzamento dell’uomo e del mondo, che nessuno scetticismo può cancellare e che apre la via alle filosofie dell’ecologia.

Note

(1) György Lukacs, La distruzione della ragione, Mimesis, 2011;

(2) Sossio Giametta, Commento allo Zarathustra, Bruno Mondadori, 1996;

(3) ibidem;

(4) Benedetto Croce, Ciò che la filosofia non deve essere. La filosofia tendenziosa, in Ultimi saggi, Laterza, 1963;

(5) Sossio Giametta, op.cit.;

(6) Ugo Spirito – Augusto Del Noce, Tramonto o eclissi dei valori tradizionali?, Rusconi, 1971.

Sandro Marano

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