Una domenica allo stadio. Una volta…

I nostri antichi antenati credevano nel dittico “Panem et Circenses”. Noi, come loro veri discendenti, lo seguiamo fedelmente. Certo, spesso una parte del dittico, il Pane, manca delle caratteristiche dell’altra, ma questo non ci impedisce di deificare, a volte, la seconda.
Una forma di spettacolo divinizzata, sia nel nostro Paese che nel mondo, è il calcio. Un calcio attorno al quale si è creato un mondo intero, composto da società calcistiche, organizzazioni di pronostici con scommesse in cui si “giocano” quotidianamente enormi somme di denaro, non così limpide, compravendite di calciatori per cifre irrealistiche, giornali sportivi, ecc. Vale la pena notare che ad Atene oggi circolano 5 giornali sportivi (e innumerevoli altri in tutte le città greche), mentre in Germania, con 80.000.000 di abitanti, ce ne sono solo due!
Ma è sempre stato così?
Non intendo “vedere” la questione come un fenomeno sociale. Altri sono più competenti su questo. Ma cercherò di suscitare ricordi affinché i giovani possano imparare e confrontarsi, e i più grandi possano elaborare il lutto, rivivendo una domenica allo stadio di allora…
Nel 1956, il nostro geniale regista Vassilis Georgiadis “girò” un film intitolato “Gli assi dei campi”, che fu trasmesso molto più tardi in televisione con il titolo “Gli eroi della domenica”, in una nuova versione e con alcune aggiunte.
Questo film, ormai documento storico, fornisce un quadro quasi completo.
Per gli appassionati di sport di oggi è impossibile immaginare la domenica “calcistica” di 50 anni fa, che non può paragonarsi a quella odierna.
Oggi, quanti non siedono davanti alla televisione per godersi la propria squadra del cuore, si dirigono allo stadio soprattutto per assistere a uno dei cosiddetti derby (per chi non lo sapesse, i derby sono partite tra squadre approssimativamente equivalenti, con le stesse aspirazioni e gli stessi obiettivi), sapendo che potrebbero anche imbattersi in uno scenario di guerra. Potrebbero trovarsi in un gruppo di tifosi della squadra avversaria, con conseguenze imprevedibili. Potrebbero trovarsi nel mezzo di incidenti tra tifosi di questa e quella squadra. Potrebbero ricevere una pietra vagante o, ben che vada, una bottiglia d’acqua. Potrebbero subire le conseguenze dell’uso di gas lacrimogeni. E, se superano tutto questo, dopo essere stati perquisiti prima di entrare in campo, si dirigeranno a prendere il loro posto, che ovviamente sarà lontano dai posti degli avversari (se consentiti), che si trovano dall’altra parte del campo, mentre nel mezzo si infrappongono centinaia di agenti di polizia per prevenire qualsiasi contatto. Quando la partita inizierà e l’arbitro, involontariamente o intenzionalmente (perché anche queste cose succedono), fischierà erroneamente un fallo o un giocatore colpirà un avversario, allora inizieranno i cori di disapprovazione con slogan tali da far arrossire persino un laureato di Alcatraz, che ha fatto un master a Sing-Sing.
Quando tutto sarà finito, comunque sia finito, i tifosi se ne andranno separatamente, prima la squadra di casa e poi quella ospite (che razza di ospitalità è questa…!) per paura di scontri, mentre i calciatori saliranno sulle loro auto di lusso e i vincitori partiranno per il bouzouki, e gli sconfitti… allo stesso modo per il bouzouki!
Ma le cose non sono sempre state così? Torniamo indietro di molti anni e vediamo…
Era una splendida mattina d’autunno, a metà degli anni ’50. In una casa borghese (…) di nuova costruzione e indipendente, la casa dei miei genitori, nel quartiere di Peristeri, e una squadra di quattro persone della DEH (corrispondente alla nostra ENEL, nd.r.) stava lavorando per installare il “contatore” e dare corrente alla nuova abitazione che era stata appena costruita.
Questa squadra aveva qualcosa di diverso. Qualcosa che la distingueva dalle altre del suo genere. Qualcosa che aveva attirato l’intera folla del quartiere, che si era formata in cerchio attorno ad essa, insaziabilmente curiosa.
Cosa aveva causato tutto questo clamore nel quartiere? Semplice. I membri della squadra della DEH erano tutti calciatori in attività, e addirittura di livello internazionale!
Due giocatori dell’Olympiacos, uno del Panathinaikos e uno dell’AEK, formavano una squadra di operai insolita per gli standard odierni, ma così comune all’epoca. Era infatti molto comune vedere calciatori internazionali, gli “eroi del campo”, con l’equipaggiamento caratteristico dei tecnici della DEH, aggirarsi per i quartieri di Atene installando contatori, “tracciando” linee, srotolando cavi e arrampicandosi sulle colonne di legno con i caratteristici sandali.
Non ritengo opportuno fare i nomi dei membri internazionali della squadra, perché quando qualche anno fa ne incontrai uno allo Stadio Nazionale di Rodi, in occasione di un torneo di veterani, e gli ricordai, con un tono molto romantico e nostalgico, da parte mia, l’accaduto, lo vidi piuttosto infastidito e con il suo atteggiamento generale mi fece capire, naturalmente in modo cortese, che la conversazione era finita, prima ancora di iniziare…
Quando la squadra di operai-calciatori aveva finito il lavoro, la casa fu illuminata dall’elettricità e gli internazionali potevano riposare gustando il dolce al cucchiaio che mia madre aveva preparato loro. Improvvisamente, un ragazzino, il più “sfacciato” del gruppo, ebbe l’idea:
- giochiamo a palla?
Ecco fatto! Internazionali e bambini si unirono, lì nel vicolo del quartiere; il derby si organizzò in un batter d’occhio e non si sarebbe fermato se non fosse apparsa la vettura ufficiale della DEH che radunava le sue squadre sparse per la città.
Questa scena dà agli appassionati di sport di oggi l’impressione che sia frutto della più sfrenata immaginazione o… frutto di un’intelligenza artificiale. È impossibile – a ragione, ovviamente – credere che questi “Semidei”, “Leoni”, “Titani”, “Eroi”, “Pantere”, come li chiamano i giornali sportivi ogni lunedì, che ammiriamo ogni domenica negli stadi o sugli schermi televisivi, un tempo corressero, da veri eroi, per poter sostenere le loro famiglie.
Ma vediamo come iniziava e come andava la domenica “calcistica” allora, mezzo secolo fa.
In quegli anni, il calcio non era così popolare e conosciuto nei suoi dettagli come lo è oggi. Noi aspiranti Rivaldos dell’epoca, giocavamo di nascosto dai nostri padri ed erano guai se violavamo il loro divieto. Le ragioni della proibizione erano molteplici. Innanzitutto, per non rovinare le scarpe (una ragione fondamentale dei tempi difficili di allora. In effetti! Ma quando mai non sono stati tempi difficili per la nostra Patria…), o per non trascurare lo studio, o per non sudare e quindi dover spendere qualche dracma qua e là per le medicine, o per non riempirci di terra e polvere (il bagno a quei tempi era una cosa che “funzionava” solo il sabato), ecc. Mentre oggi, quando i padri accompagnano i loro monelli alle accademie dei grandi club…
C’erano solo due giornali sportivi, “Athleti Echo”, che ha chiuso nel 2007, e “To Fos ton Spor”, che è ancora in circolazione oggi.
Così, da metà settimana in poi, imploravamo nostro padre di lasciarci andare allo stadio la domenica. Dato che non giocavamo, almeno avremmo potuto guardare. Ci voleva un forte impegno per ottenere il consenso di nostro padre, e questo accadeva dopo che nel frattempo avevamo fatto un sacco di promesse (“saremo bravi ragazzi”, “studieremo “, “ascolteremo nostra madre” e innumerevoli altre). E quando sentimmo il tanto atteso “sì”, la… Odissea aveva inizio.
Se per esempio la partita iniziava alle 17:00, noi eravamo pronti dalle 14:00, dopo aver quasi finito il pranzo della domenica. Devo sottolineare che l’orario di inizio era un po’… flessibile e le 17:00 potevano diventare le 17:30, soprattutto quando la gente stava ancora arrivando allo stadio.
Con l’avvento del PRO-PO (totocalcio, n.d.r.), il tempo cominciò a essere osservato con precisione, per ovvi motivi.
All’epoca non si parlava nemmeno di auto, quindi prendevamo l’autobus IKA a Peristeri, che ci lasciava al capolinea, in via Agisilaou, vicino a Agios Konstantinos. Da lì, una breve passeggiata fino a piazza Lavriou e salivamo sull’altro autobus Atene – Filadelfia Nord. Dopotutto, tifosi dell’AEK…
Il viaggio durava in tutto più di un’ora. Molte volte sull’autobus viaggiavamo anche con giocatori di calcio, che avremmo presto ammirato allo stadio. Lì ci fu data l’opportunità di vedere da vicino i nostri idoli, di… toccarli e ascoltare i loro pronostici e le loro analisi. Riuscite a immaginare Mandalos, Ioannidis o Retsos, accalcati insieme a voi in metropolitana? Strano.
Un giorno sono partito da casa sotto la pioggia. Sono arrivato allo stadio dell’AEK e al cancello di ferro, che si trovava nel recinto sud verso la chiesa, dove fino a poco prima c’era la tribuna coperta e ora l’aquila. Lì avevano attaccato un annuncio scritto a mano, consumato dalla pioggia, che ci informava che la partita non si sarebbe giocata a causa delle avverse condizioni meteorologiche! Lakis Emmanouilidis, all’epoca una grande stella dell’AEK, stava leggendo l’annuncio accanto a me e ne fu informato anche lui. Così furono informati anche i calciatori…
L’atmosfera fuori dallo stadio non era molto diversa da quella odierna. I venditori ambulanti di bibite, frutta secca, panini, ecc. coloravano l’atmosfera.
I posti a sedere nello stadio non erano numerati come lo sono oggi, tranne pochissimi “ufficiali”, e quindi ci si sedeva dove si riusciva a trovarli. Ecco perché bisognava andare presto, per trovare un posto verso il centro. Quindi, ci si sedeva dove si riusciva a trovare posto. Ma questo non importava affatto. Tutti indossavano il loro cappello da sole in stile cinese con i colori della propria squadra, le sciarpe non erano ancora apparse, chiacchieravano tra loro e si scambiavano opinioni in modo educato e decoroso, mentre le prese in giro che si susseguivano non avevano nulla a che fare con gli odierni… annunci di guerra (“La tua tomba sarà qui” e molti altri che ometto per ovvi motivi). Questo si vede in alcuni vecchi film greci.
Fino all’inizio della partita, vari noti personaggi si aggiravano tra gli spalti tra i tifosi cercando di tirar su il bilancio familiare, improvvisandosi “commercianti”, come Kostas, tifoso dell’AEK, che vendeva solo semi (una dracma a bustina all’epoca, un euro oggi…), o altri con biglietti di lotteria. Questi ultimi tenevano in mano un mucchio di “chicche” (sigarette americane, all’epoca un bene di lusso, bottiglie di whisky, grosse tavolette di cioccolato, biglietti della lotteria popolare, ecc.) e le passavano davanti agli occhi dei tifosi, che nel frattempo avevano acquistato i biglietti a un prezzo relativamente basso. Il loro slogan, volendo sottolineare l’affidabilità delle lotterie, era: “Il sacchetto è controllato, ragazzi”, il che significava che chiunque poteva controllare il sacchetto con i biglietti per verificare che tutti i numeri, compresi quelli acquistati, fossero nella lotteria, cioè nel sacchetto dell’estrazione.
Da notarsi che il sorteggio veniva effettuato, furbescamente, subito dopo il calcio d’inizio della partita, quando nessuno era dell’umore giusto per occuparsi della questione, e quindi chi vuole intendere intenda…
A un certo punto, si udiva un applauso entusiasta. Invano, i più ingenui cercavano il destinatario dell’applauso, pensando che fosse rivolto ad un calciatore. I tifosi invece applaudivano alla cisterna d’acqua del Comune, che, mezz’ora prima dell’inizio della partita, entrava per innaffiare il campo da gioco, così che il giocatore appollaiato potesse sedersi e farsi ammirare dal pubblico stanco di aspettare.
Se la partita fosse stata un derby (la definizione l’abbiamo data sopra), i tifosi sarebbero arrivati molto presto e spesso, tre ore prima dell’inizio della partita, le porte si sarebbero chiuse perché lo stadio sarebbe stato già pieno. A quel punto si sarebbe posto un problema serio: come far passare il tempo? Ma l’ingegnosità dei tifosi trovava sempre la soluzione. Backgammon portatile, scacchi, carte da gioco e giornali avrebbero ammazzato il tempo fino all’arrivo… dell’autocisterna dell’acqua.
Quando finalmente arrivava il momento, faceva la sua comparsa il trio arbitrale, il che ovviamente era estremamente denigratorio per i greci, dato che venivano chiamati arbitri stranieri a tutti i derby, in un periodo favorevole come questo. Presumibilmente per garantire l’integrità, ma il più delle volte erano più spietati dei nostri. (L’ottimo settimanale sportivo “OMADA”, del gruppo “Lambrakis”, che circolava all’epoca, deridendo questa pratica, sosteneva che a un certo punto… si sarebbe dovuto chiamare un arbitro cinese, certamente imparziale, data la distanza tra Grecia e Cina…).
Dopo gli arbitri scendeva in campo la squadra ospite e infine la squadra di casa, che naturalmente riceveva più applausi. La partita andava avanti fino all’intervallo, quando ricompariva il camion dell’acqua, ma questa volta senza raggiungere l’apoteosi, perché tutti erano concentrati su quanto accaduto nel primo tempo.
Il secondo tempo iniziava e a un certo punto tutto sarebbe finito. Qui non diremo il classico “si abbassarono le luci”, perché a quel tempo, a parte lo storico stadio del Panathinaikos in Alexandras Avenue, non c’era nessun altro stadio dotato di riflettori che potessero… abbassarsi al termine della partita.
Poi iniziava il percorso inverso. Code interminabili alla fermata dell’autobus e, naturalmente, critiche alla partita da parte dei tifosi di entrambe le squadre, che, lo sottolineo ancora una volta, avevano guardato la partita fianco a fianco senza essere separati da… cavi elettrici e fossati anticarro come oggi.
Naturalmente, le discussioni e i commenti sulla partita si concludevano con il viaggio in autobus, poiché a quel tempo non c’era continuità tra “Athletic Sunday” e “Diakogianni’s Voice”, dato che non esisteva nemmeno la televisione. Ma alla radio, le trasmissioni sportive erano quasi inesistenti. A quel tempo, c’era un unico commentatore sportivo, il compianto Michalis Giannakakos, che descriveva le partite con la caratteristica facilità e il colore. Più tardi, apparve Nikos Foskolos, anche lui un commentatore carismatico, che naturalmente in seguito si distinse come autore e regista. E poi Stathis Gavakis, Miltiadis Panagiotopoulos, Vassilis Georgiou, Antonis Logothetis di Salonicco e altri.
Era allora l’era eroica del nostro calcio. Eroica, non certo in termini di qualità, ma di condizioni. I calciatori erano alcuni di noi, che lottavano tutta la settimana per uno stipendio dignitoso e facevano 1-2 sessioni di allenamento la domenica sul campo.
Alcuni sostengono che il nostro calcio fosse migliore allora. C’erano i “giocatori”. Può darsi. Nessuno può mettere in discussione Bebis, Poulis, Polychroniou, Nestoridis, Linoxylakis, Ifantis, Rossidis, Petropoulos, Kanakis, Mantalozis, Thanasis Saravakos, Stamatiadis, Nempidis, Panakis e tanti altri. Ma ehi, i “semidei”, i “Leontes”, i “Thyria” ecc. di oggi sono quelli che ci hanno regalato un campionato europeo. Credo che cercando di confrontare il nostro calcio di allora con quello attuale, stiamo cercando di confrontare cose completamente diverse. In un’epoca in cui tutta l’Europa giocava su campi in erba tanto tempo fa, abbiamo costruito un campo in erba sintetica molto più tardi, quello del Panathinaikos, con erba completamente marcia e appassita che, invece di facilitare il gioco dei giocatori, in realtà lo ha reso più difficile.
In un’epoca in cui i calciatori europei erano già professionisti da tempo, i nostri giocatori indossavano orologi DEH o lavoravano in negozi e fabbriche. Ci sono molte altre cose (allenatori, palestre, dispositivi ergometrici, monitoraggio medico e altro) che all’epoca ci mancavano. Pertanto, qualsiasi paragone sarebbe ingiusto.
Lasciamo quindi quell’epoca lontana avvolta nel mito e lasciamo che chi l’ha vissuta la ricordi con nostalgia e amore. Non era migliore di oggi. Non aveva niente di meglio. Possiamo dire che era indietro come il giorno e la notte. Ha avuto molte difficoltà, molte avversità, molte amarezze (sia sportive che di altro tipo). Ma aveva un grande vantaggio. Eravamo giovani. Questo vantaggio è davvero pari a qualcos’altro? Non importa quanto tu sia bravo come calciatore, è impossibile pareggiare questa partita. Il vecchio precederà sempre il giovane nel punteggio. Soprattutto se siamo calciatori del passato…
Christos Bolosis