A proposito di certezza del diritto: parliamo del “traffico di influenze illecite”

Gavel, court hammer. Free public domain CC0 photo.

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Traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.) [modificato dalla L. 3/2019 e dalla L. 114/2024]

“Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319 e 319-ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322-bis, utilizzando intenzionalmente allo scopo relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità economica, per remunerare un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, in relazione all’esercizio delle sue funzioni, ovvero per realizzare un’altra mediazione illecita, è punito con la pena della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni e sei mesi.
Ai fini di cui al primo comma, per altra mediazione illecita si intende la mediazione per indurre il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis a compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio costituente reato dal quale possa derivare un vantaggio indebito.

La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità economica.
La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità economica riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio o una delle qualifiche di cui all’articolo 322-bis.

La pena è altresì aumentata se i fatti sono commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie o per remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio.”

Questo reato fu introdotto nel 2012 a seguito delle solite pressioni sovranazionali sul parlamento italiano. Al riguardo tutti gli addetti ai lavori sanno bene che si tratta di una norma evanescente, impalpabile, caratterizzata da una tipicità che apre uno spaccato complesso, incerto e inquietante sotto il profilo della tassatività e della prevedibilità della decisione giudiziale (art. 7 CEDU).

Trattasi di una tipicità invisibile, in cui non è dato di conoscere la condotta criminosa cui detta norma si riferisce.

Soprattutto, dopo la distinzione funzionale fra indirizzo politico e gestione amministrativa introdotta nell’ordinamento sin dal 1990, con la legge di riforma degli enti locali, e poi generalizzata con il d. lgs. n. 29 del febbraio del 1993, che ha reso il dirigente di ogni ente pubblico l’unico soggetto cui è assegnato il potere circa la decisione su ogni impegno di spesa, è molto difficile comprendere come possa un Sindaco influenzare la persona cui è affidata in modo esclusivo la gestione delle risorse pubbliche.

Non si comprende quale sia il fatto socialmente dannoso che si vuole reprimere utilizzando la fattispecie del “traffico di influenze illecite”. E’ più che evidente che l’esistenza di una norma così vaga si presta agevolmente ad un suo uso improprio e talvolta illecito per colpire un avversario politico.

Infatti, se si dovesse applicare, come avvenne nel febbraio del 1992 all’epoca di “tangentopoli” e di “mani pulite”, il teorema accusatorio del “non poteva non sapere”, chiunque ricopre la funzione apicale di Sindaco in un qualsiasi comune può trasformarsi in una vittima sacrificale di veri e propri scontri politici che finiscono col far uso strumentale di una legge certamente scritta male.

In questo caso sono proprio i Magistrati coloro che potrebbero – a Costituzione invariata – in presenza di una obiettiva complessità, che non viene risolta dalla norma, utilizzare in favore del malcapitato il diverso compito della interpretazione.

Ciò significherebbe che il giudice abdicherebbe al ruolo di essere la “bocca della legge”, compiendo un atto necessario, quello di scendere sul terreno più complesso della interpretazione.

Nella prassi, che non trova riscontro nella Costituzione formale, si verifica spesso ed in maniera sempre più massiccia che la magistratura, per “sciogliere la complessità della legge” è chiamata a darne una interpretazione, si auspica più umana e aderente alla realtà, colmando qualche vuoto o incertezza legislativa.

La criticità della norma sul Traffico di influenze illecite, fattispecie costruita sull’argilla, che purtroppo il legislatore non ha abrogato, come invece ha fatto per l’abuso di ufficio, richiede necessariamente l’intervento suppletivo della Magistratura, ruolo cui il giudice è chiamato secondo i tempi della modernità, sempre più declinati secondo gli schemi della rapidità e dell’efficienza, piuttosto che secondo quelli della ponderazione e dell’efficacia.

Sulla giustizia e sull’umanità ci ha lasciato grande insegnamento e spunto di riflessione il pensiero di Piero Calamandrei il quale affermò: “se la giustizia deve funzionare con attenzione per le condizioni umane, la logica interpretativa delle regole giuridiche deve essere adoperata in modo che la bilancia che la giustizia simboleggia penda dalla parte della rosa“.

Alfredo Lonoce