La disarmonia del vivere

 «Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.»

Nella sua poesia, Gabbiani, Vincenzo Cardarelli allude innanzitutto alla propria condizione di poeta. Ma, a ben guardare, si rivolge a tutti gli uomini: tutti, chi più chi meno, sentiamo la nostalgia della quiete, del porto dove rifugiarci durante la tempesta, ma ci troviamo comunque a vivere la vita con i suoi drammi e i suoi turbamenti. La vita felice poi è un miraggio, un sogno, che solo in rari momenti personali e storici sembra prendere forma. E  in ogni caso non dura. E la ragione ce la spiega il filosofo spagnolo Josè Ortega y Gasset osservando come «la vita è per sua essenza un dramma; è infatti una lotta furiosa contro le cose perfino contro il nostro carattere per cercare di essere nei fatti ciò che siamo in progetto».

A ciò si aggiunga un’ulteriore considerazione. Rispetto all’uomo comune, che vive di solito senza porsi domande, alla giornata, il poeta, il filosofo, l’uomo d’azione ama il proprio destino (l’amor fati di nietzschiana memoria), non teme di non appartenere al gregge, è anticonformista, non è per natura un “pacifista”, perché porta alla luce la disarmonia del vivere e non di rado ne paga le conseguenze. Pensiamo a Pierre Drieu La Rochelle e a Robert Brasillach, a Garcia Lorca e a Cesare Pavese…

Sandro Marano

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