San Niccolò dei Greci: una piccola e preziosa perla della spiritualità bizantina

Fino al 1577 la sua sede era in una cappella che venne distrutta in quanto l’area in questione, dove attualmente sorge la Chiesa del Gesù, fu concessa ai Gesuiti. Quindi si trasferì nella chiesa medievale di San Giovanni Battista detta Del Malato, riconsacrata “San Niccolò dei Greci” (Klisha e Shën Kollit in lingua albanese) sede della parrocchia di San Nicola di Mira, facente capo all’Eparchia di Lungro degli italo-albanesi. Rappresenta anche un punto di ritrovo della comunita’ greco-albanese  presente nella città di Lecce.

Tra il 1971 e il 1975, un  restauro globale a cura della Soprintendenza di Puglia riscoprì l’impianto dell’antica chiesa di fondazione medievale a tre navate e un frammentario affresco bizantineggiante riconducibile al XIV secolo, custodito in uno dei tre absidi a cui si accede attraverso una botola.

La facciata  si presenta tripartita da un doppio ordine di paraste doriche e divisa in due ordini (uno inferiore e uno superiore). Al centro della parte superiore, una finestra, mentre i lati sono caratterizzati da ampie volte.

L’interno è a navata unica di forma rettangolare e monoabsidale, non ci sono altari lungo le pareti laterali. L’altare centrale è celato dietro l’imponente iconostasi (“diastyla”), elemento distintivo delle chiese bizantine: si tratta di una parete divisoria realizzata, in questo caso, in pietra leccese e dotata di tre porte ed ha una funzione liturgica, simbolica e spirituale, perchè separa la zona dell’altare riservata al clero (bema), dalla zona riservata ai fedeli (naos), un diaframma fra il cielo e la terra, lo spirito e la materia.

Le tre porte con le rispettive tende, vengono aperte tutte solo durante la settimana di Pasqua mentre nel resto dell’anno liturgico durante la Divina Liturgia e le altre funzioni è aperta solo quella centrale. Queste testimoniano l’impenetrabilità del mistero divino.

Alla porta centrale definita “regale”, che conduce direttamente all’altare (di norma, a base quadra , isolato al centro del bema per consentire l’incensazione di tutti i lati), vi può accedere soltanto l’officiante ed in particolari momenti liturgici.

Le porte laterali sono chiamate “diaconali”: quella di sinistra immette nell’ambiente della “prothesis” dove si  prepara del pane sul quale, nel corso di questa “pre-liturgia”, viene incisa una croce attraverso un coltellino a forma di lancia, che allude al colpo sferrato sul costato di Cristo.

La porta di destra, invece, permette l’accesso al “diakonikon”, cioè allo spazio utilizzato per la conservazione dei paramenti sacri e per la vestizione del celebrante.

L’iconostasi comprende  una serie di icone di santi, per lo piu’ a fondo oro su tavole di legno, proprie dell’arte liturgica  bizantina.

Quarantadue le icone presenti risalenti ad epoche e autori diversi , tra il XVI e il XIX secolo. Parte di esse, comprese quelle incastonate nell’altare, sono ad opera pittorica del sacerdote albanese Demetrio Bogdano, parroco nella seconda metà del XVIII secolo.

Nella parte inferiore dell’iconostasi negli spazi tra le porte, e divise da otto colonne, ammiriamo le icone cinquecentesche di San Giovanni Battista, Madonna con Bambino, Cristo Sommo Sacerdote e San Nicola di origini cretesi. A ricoprire le porte diaconali dell’iconostasi sono le tavole raffiguranti l’Arcangelo Michele e Gabriele. La porta centrale, invece, contempla sui due battenti il Cristo risorto e Maria Maddalena nell’episodio del “Noli me tangere”. Si susseguono nella parte superiore dell’iconostasi , al centro, le figure dei dodici apostoli, fiancheggiate a sinistra dalle icone dell’Annunciazione, della Natività, del Battesimo di Gesù e del Miracolo dello storpio, mentre a destra da quelle della Trasfigurazione, della Crocifissione, della Resurrezione e dell’Ascensione. Al di sopra, il trittico Deisis (supplica, intercessione) con il Cristo Pantocratore tra gli Angeli, la Madonna e il Battista: su questi spicca la croce, tra le icone della Madre di Dio Addolorata e di San Giovanni Evangelista. Al centro della parete sinistra  si nota la grande tavola di San Spiridione in trono, patrono di Corfù.

Al  primo-novecento s’ispirano  le icone dei Santi Antonio Abate e Saba collocate, una di fronte all’altra, vicino l’entrata.

Si osserva la liturgia della cristianità antica.  La “Divina Liturgia” (secondo il rito occidentale “S. Messa”) e viene celebrata seguendo, usualmente, il testo di San Giovanni Crisostomo, in lingua  greca, italiana e albanese.

La domenica delle Palme vengono distribuiti rami di alloro benedetto; a Pasqua, dopo la veglia, come segno della resurrezione, uova colorate di rosso. Per l’Ascensione si offrono acqua con petali di fiori, erbe profumate e il tradizionale caglio. A Natale, invece, si partecipa ad una festa ecumenica con preghiere e canti di confessioni cristiane in lingue diverse.

Un vero, piccolo tesoro conservato nel cuore del Salento con la sua plurisecolare storia e suggestive tradizioni.

Cinzia Notaro