Apollonio Rodio, uno scrittore alessandrino vissuto a cavallo del III e del II secolo a.C., nativo di Alessandria d’Egitto, ma chiamato Rodio a causa della sua lunga permanenza nell’isola di Rodi, è noto nella letteratura della Grecia antica sopra tutto per la sua opera “gli Argonauti”.

Riannodandosi ad antichissime leggende pre-omeriche, narra le vicende dell’eroe Giasone, il quale fu inviato dal fratellastro del padre Esone, al quale aveva usurpato il trono di Iolco in Tessaglia, nella lontana terra della Colchide, per recuperare la pelle di un magico montone custodita da un drago, il così detto “vello d’oro” che avrebbe conferito a chi lo avesse indossato il potere di volare e di guarire le ferite.

Dopo varie peripezie e incontri con strani e ostili personaggi, nella serie di approdi in terre sconosciute, con i suoi compagni, tra cui Eracle ed Orfeo, che con il suo magico canto riesce a placare le varie contese tra i partecipanti all’impresa, Giasone con la sua nave giunge allo stretto di mare, che dava l’accesso al mar Nero, dove si trovano le Simplegadi, i così detti Scogli Cozzanti, i quali sono in perpetuo movimento l’uno contro l’altro, schiacciando quindi coloro che volessero passare oltre di essi.

Dietro consiglio dell’indovino Fineo, Giasone lancia una colomba, che riesce ad oltrepassare le Simplegadi, che però gli troncano la coda, segno divino questo che anche Giasone e gli Argonauti potranno passare oltre lo stretto.
Difatti, grazie all’intervento di Atena, che frena gli scogli e fa dare un balzo alla nave, la quale però perde un ornamento di poppa, gli Argonauti oltrepassano le pericolose Simplegadi, potendo così proseguire per la misteriosa Colchide, dove è custodito il “vello d’oro”.

Questo racconto di Apollonio Rodio, che vuole essere la riproposizione dell’epica antica, di contro alla rivoluzione innovatrice operata dal poeta Callimaco, inventore tra l’altro dell’Epillio, cioè di un modo breve di riproporre gli antichi miti, in realtà contiene un archetipo presente in molti racconti mitici di origine preistorica, presenti in molte altre parti della Terra.

Con qualche variante esiste un mito pellerossa in cui oltre agli Scogli Cozzanti che sbarrano il cammino all’eroe Nayanezgani, compaiono delle Canne Taglienti che cercano di colpirlo ondeggiando le une contro le altre.

In Groenlandia vi è il mito dell’eroe Giviok, il quale nel suo cammino verso l’al di là, alla ricerca di suo figlio morto, incontra due Iceberg Cozzanti, attraverso i quali egli passa molto velocemente, ma la poppa del suo kayak viene danneggiata.

Un chiaro riferimento agli Scogli Cozzanti lo si ritrova nel Rig Veda, il primo dei quattro Veda della tradizione indù, dove gli “Scogli” sono dei periodi di tempo, il giorno e la notte, che cozzano l’uno contro l’altro e si separano. Questi due periodi di tempo che possono essere anche identificati come “luce e tenebre” rappresentano gli opposti che condizionano la vita terrestre dell’uomo e che lo vincolano a questa. Perciò l’impresa del Mahavira, l’Eroe vedico, viene compiuta all’alba, cioè nel breve intervallo che separa la notte dal giorno e quindi molto velocemente.

Tralasciando, per brevità di spazio, molti altri riferimenti di questo mito in altri contesti culturali, vorrei tentare di offrire ai lettori di questo scritto, alcune interpretazioni spirituali utili per la riflessione di coloro che intendono conservare il ben dell’Intelletto.

Le Simplegadi, o Scogli Cozzanti, sono chiaramente identificabili come i due battenti della “Ianua Caeli”, a guardia della quale vi è S.Pietro, i quali si chiudono per non far passare chi non è degno e si aprono solo con il favore di Dio.

Nel mito degli Argonauti, questi riescono ad oltrepassare le Simplegadi, grazie al favore dell’intervento divino di Atena, per poter quindi giungere nell’altra dimensione dell’Essere, all’Isola dei Beati, rappresentata dalla misteriosa Colchide. Ma nella variante del mito, così come risulta dal passo del Rig Veda, gli Scogli Cozzanti sono il giorno e la notte, in altri termini rappresentano la dimensione temporale in cui è immerso l’uomo inconsapevole della dimensione Eterna dell’Essere, per cui essi rappresentano anche le due fauci della morte.

Gli Scogli Cozzanti, in definitiva, rappresentano tutte le coppie degli opposti, la dimensione duale dell’esistenza materiale, la quale tiene imprigionato l’uomo in una visione illusoria della Realtà, per superare la quale è necessario da un lato lo sforzo eroico dell’individuo, dall’altro lato l’aiuto della Grazia Divina, senza la quale l’uomo non può accedere alla Conoscenza e quindi alla Realizzazione del suo Vero Io (cfr.Giov.15,5 “..perchè senza di Me non potete far nulla”).

Esiste una stretta analogia tra il Macrocosmo e il Microcosmo che è l’uomo, per cui è possibile il “Risveglio” all’alba o al tramonto, perchè in questi due momenti istanti “i mondi si toccano” ed è possibile passare velocemente tra di essi.
Ma tale possibilità di accesso alla Realtà Totale, esiste anche quando l’uomo comprende che il bene e il male, la gioia e il dolore, l’acquisto e la perdita, la vittoria e la sconfitta, sono aspetti illusori della Realtà, in quanto essi sono il frutto della caduta dell’uomo nel Tempo.

Antonio Bosna