L’ordito del tempo

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Non è facile rendere conto al lettore in poche parole dell’ultimo libro pubblicato dal poeta e docente Cosimo Rodia, L’ordito del tempo (Edizioni Milella, 2025) con sottotitolo: Trent’anni di poesia di Cosimo Rodia (1994 – 2024).

Non tanto, o non soltanto, per la mole, più di duecento pagine fitte di poesie e dei contributi saggistici di Daniele Giancane e di Pierfranco Bruni che hanno accompagnato alcune delle pubblicazioni. Ma soprattutto perché le poesie, selezionate dalle ventisei raccolte date alle stampe a partire dal 1994 nel corso di trent’anni, nel vario dipanarsi di temi e registri, ci raccontano una vita, un ordito di emozioni, di amori, di interessi. E fra questi c’è la sua fedeltà alla poesia. Il tempo di cui ci parlano le poesie e alcuni brani di prosa poetica non è infatti quello matematico, misurabile in giorni mesi ed anni, bensì la durata, che come insegnava il filosofo Henri Bergson è la vita vissuta, l’intrecciarsi e il permanere di stati d’animo, di dolori e di gioie.

Ed allora non ci resta che indicare sommariamente le linee di vetta della sua poesia. In primo luogo lo stile. Come più volte ha messo in rilievo Daniele Giancane, Rodia «si avvale di uno stile letterariamente alto e di un linguaggio trasparente, oltre che di un tono fraterno verso il lettore». Il suo linguaggio è solitamente forbito, ricercato, senza che ciò influenzi negativamente la comprensibilità del testo. Rodia strizza l’occhio al miglior Montale. Dalle sue prime raccolte alle ultime non c’è soluzione di continuità, non ci sono svolte linguistiche, ma solo un progressivo affinamento del linguaggio poetico. Prendiamo ad esempio Autunno tratta da Terra di confine del 1998 e Viene tratta da Per il falò del 2023:

«Slega le foglie il maestrale
abbacchiate s’adagiano terragne.
I rami denudati
vinti d’inverno
nelle notti attendono.»  
«Viene dai campi il vento
leggero con l’odore di terra
aperta, alza appena una mano
e procede oltre col sorriso
sornione di chi non sosta
sull’aia a incrociare gli afrori!»

Ha ragione Pierfranco Bruni quando nota che «il poeta è quell’indefinibile giocoliere che resta aggrappato alle parole». Le parole di Rodia infatti sanno restituirci egregiamente momenti preziosi di vita. E qui notiamo, en passant, come il proprio della sua poesia sia soprattutto la brevità epigrammatica, mentre nelle composizioni più lunghe, nei poemetti, si avverte a volte una qualche dissolvenza della tensione poetica. 

Per quanto riguarda i temi, due ci sembrano predominanti nella sua produzione: la nostalgia della vita contadina, che fa tutt’uno con la felicità dell’infanzia e i ricordi familiari, e l’amore, vissuto, agognato, cantato ora nell’estasi ora nella tristezza dell’abbandono.

Circa il primo tema, così presente in quasi tutte le raccolte, proponiamo Leggera è la brezza, una splendida poesia tratta da Per il falò (2023),:

«Leggera è la brezza del mattino
col sole ancora incatenato
e ricordo le viti in attesa
d’essere violate e gli ordini
di mio padre che ricamava
la raccolta con fili di ansia
e di gioia nascosti dietro
i baffi da seduttore.
Leggera è la brezza del mattino!»

Non a torto osserva Daniele Giancane nella prefazione a questa antologia: «c’è tutto il Sud, nella poesia di Rodia, un Sud riguardato con nostalgia e lirismo, pur senza ergerlo a una sorta di paradiso terrestre».

E veniamo all’amore sessuale che compare nella raccolta del 2003 intitolata significativamente Amour. Era una francese la donna cui il poeta dedica questi versi (come parrebbe sottintendere il titolo in francese)? Non è dato saperlo e non ce ne crucciamo. Il poeta teme più di tutto la precarietà del tempo presente, spera ardentemente che «il tempo perda / la sua marcia guerriera» e si affida allora a versi delicati, melodiosi, suadenti:

«Quando mi è lontano il tuo sorriso
di perla s’invernano i giorni:
una coltre di cenere soffoca
i carboni! La tua dolcezza
è l’alba e il tramonto.»
(Quando)
«Ho cercato vanamente
tra volti stranieri
il tuo sorriso di mandorla.
Ora, mi giunge nella solitudine
ed offre il suo calice
di dolcezza.»
(Calice di dolcezza)

Ma nell’amore si raggiunge la felicità? o la felicità è un’illusione, «un palloncino della festa / sfuggito dalle mani insicure / di un bimbo»? Fa qui capolino la solitudine del poeta che si domanda: «I deserti attraversati separeranno il grano / dal loglio?» (da Dissolvenze del 2015).

Un erotismo lieve, allusivo, affabulante compare nel Canzoniere (2018) e in L’eros in gabbia. Dialoghi di amanti in quarantena (2021). Il Canzoniere è un lungo monologo in tante piccole sequenze sulla falsariga del poeta spagnolo Pedro Salinas, mentre L’eros in gabbia è un dialogo (anch’esso in tante piccole sequenze) tra un lui e una lei costretti dal confinamento del 2020 e 2021 a non vedersi e a rimandare ogni contatto fisico. In entrambi i testi Rodia analizza il rapporto tra i due amanti, la corporeità e il desiderio, il sogno d’amore. Spigoliamo qua e là dal Canzoniere:

«Il profumo
sulle lenzuola
finge la stretta
della mano
mentre si siedono
i sogni
in silenzio.» (11)
«Quando le labbra
diventano un fuoco
quando le mani
diventano un fuoco
quando il ventre
diventa fuoco
sono già nell’attimo
strinato e rinasco
sotto forma nuova,» (48)
«Il tuo “hello”
è un batacchio
che sveglia
desideri,
anche ninna nanna
che soffia
sui sogni.» (51)
«Il silenzio della notte
dilata i lamenti
d’amore e riproduce
in un gioco di specchi
i volti persi di piacere
tra margherite, rovi
e mandorli in fiore.» (59)
«Tra te
e me
parlano
anche
i silenzi.» (86)

Chiudiamo queste note con due testi tratti da Epigrammi (2020), che ben esprimono la potenza sognante della parola poetica:

«Zufola tra le vie il vento mentre percuote
i ricordi dei sorrisi e il corpo disposto
ad essere una chitarra gitana!» (132)
«Voglio perdermi nel tuo smeraldo
e chiedere alla luna di donarti
un giro di tango!» (305)                                             

Sandro Marano