Una delle più belle poesie sul Natale la scrisse nel dicembre di guerra del 1916 Giuseppe Ungaretti:

“Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare”

Sono versi senza retorica, senza sdolcinature, senza la falsità del grande stile. Sono versi semplici, di un uomo stanco che ben esprime un bisogno di raccoglimento, di interiorità. E’ più o meno lo stesso bisogno che oggi proviamo di fronte al nostro convulso modo di vivere e soprattutto di fronte alla pandemia che ci rende impauriti e diffidenti l’uno verso l’altro.

La società opulenta poi ha svuotato il Natale, se ne è impadronito, ne ha fatto un’occasione di smercio, l’ha eguagliato alle altre feste. Il Natale consumistico, il Natale delle settimane bianche e dell’orgia di beni superflui
non ha nulla da dirci.

Eppure non è sempre stato così. Nello spirito nordico il Natale è la festa malinconica e dolce della luce, del solstizio d’inverno, è un atto di fiducia e di gratitudine nel sole che ritorna a fugare le tenebre. Il suo simbolo è l’albero illuminato e addobbato. Nello spirito mediterraneo invece il Natale è legato alla civiltà contadina e ai suoi valori, la terra e la maternità. Il presepio con l’asino e il bue e la sacra famiglia sono i suoi simboli. In entrambi i casi il fondamento dell’esistenza umana è riconosciuto nella natura vivente e nella famiglia naturale. Questi significati pagani e poi cristiani si sono fusi e confusi nel corso dei secoli.

Se il Natale oggi ha ancora un senso è nella riscoperta insieme dell’umano e del divino nell’uomo.

Sandro Marano

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